Violenza domestica e femminicidi non accadono solo in Pakistan o in Italia (vedi p. 29). In Svizzera in media ogni mese una donna perde la vita per mano del compagno o dell’ex (Statistica criminale di polizia 2020). Mentre in Ticino, l’anno scorso, gli interventi della polizia cantonale «per disagi in famiglia» sono stati 1’105 (in media tre al giorno). Nella maggioranza dei casi le vittime erano donne. E si tratta solo della punta dell’iceberg. Uno studio commissionato dall’Ufficio federale di giustizia rivela infatti che solo il 20 per cento dei casi di violenza domestica viene notificato alle forze dell’ordine.
La violenza sulle donne ha profonde radici nella disparità tra i sessi presente all’interno della società ed è perpetuata – come spiega l’Ufficio federale per l’uguaglianza tra donna e uomo – da una cultura che tollera e giustifica la violenza di genere e si rifiuta di riconoscerla come un problema. Una cultura sostenuta dal linguaggio e dalle immagini trasmesse da media e pubblicità. «Un bagaglio che ci tramandiamo di generazione in generazione e che rende abituali rappresentazioni della femminilità e della mascolinità stereotipate, limitanti». Ad affermarlo Flavia Brevi, fondatrice di Hella Network, una rete per la comunicazione inclusiva che riunisce migliaia di professioniste e professionisti (www.hellanetwork.com). «La cultura in cui viviamo sottolinea spesso la fisicità della donna. Nella pubblicità, ad esempio, lo sguardo è quasi sempre maschile, nonostante si sappia che sono soprattutto le donne a decidere per gli acquisti. Una ricerca del 2014 dell’Art Directors Club italiano indica che i prototipi più usati nella pubblicità per descrivere le donne sono le modelle e le grechine (cornici ornamentali). Mentre l’uomo è descritto come professionista, modello e sportivo: si mette dunque in risalto caratteristiche come la determinazione e l’essere attivo. La donna invece è molto spesso l’oggetto passivo e desiderabile dello sguardo maschile». Fino ad essere totalmente deumanizzata in certe reclame. Pensiamo – solo per fare alcuni esempi di qualche anno fa – alla pubblicità di una nota marca di abbigliamento di lusso con una violenza sessuale di gruppo o all’immagine della donna ammazzata per promuovere il black friday. «Queste rappresentazioni perpetuano la cultura della violenza e dello stupro», spiega l’intervistata.
Ma anche il modo di raccontare i fatti dai media ha le sue responsabilità. «Esiste un problema nella narrazione quotidiana della violenza di genere che crea ulteriore violenza verso le donne. Ad esempio, in un caso di femminicidio si tende a mettere l’accento su come era vestita la vittima, su quanto alcol ha assunto o sul fatto di essere uscita da sola. Così facendo si sposta l’attenzione dal crimine a ciò che la donna ha fatto, come se ne avesse almeno in parte la responsabilità. Oppure si usano ancora espressioni come vendetta passionale o raptus di gelosia… Non c’è nulla di romantico nella violenza, ricordiamolo».
È necessario, secondo Brevi, che chi lavora nella comunicazione sia consapevole delle sue responsabilità e che si sforzi di offrire modelli alternativi. «Il motto di Hella Network è: la comunicazione è figlia della società in cui nasce ma può mostrarle come essere migliore. Osservo che nella società si sta facendo largo la necessità di una comunicazione meno escludente e violenta. Le grandi aziende stanno già da tempo operando per eliminare gli stereotipi e aumentare la diversità al loro interno. Ci sono poi delle realtà che pensano ancora che per differenziarsi sia lecito tutto: nel bene o nel male purché se ne parli, insomma. Mentre diverse ricerche provano che le pubblicità stereotipate e con forti discriminazioni allontanano le persone. Nel mezzo ci sono quelli che ci provano ma non ci riescono o pensano che basti fare un’operazione di facciata. Fondamentale invece applicare delle politiche aziendali volte davvero all’inclusione, sia per quel che riguarda la rappresentanza ai vertici sia la parità salariale».
Contro la cultura dello stupro
Il ruolo della comunicazione nella battaglia anti-brutalità
/ 07.06.2021
di Romina Borla
di Romina Borla