Conto alla rovescia per il Cremlino

Come procede la «fase due» della guerra in Ucraina e le prospettive decisamente poco rassicuranti per l’economia russa
/ 25.04.2022
di Anna Zafesova

L’inizio della grande battaglia del Donbass è stato più volte rinviato, anche se si sa già quando dovrebbe concludersi, almeno nei piani di Mosca: diversi propagandisti e comandanti russi pensano al 9 maggio, anniversario della vittoria sul nazismo nel 1945. Una data di sontuosi festeggiamenti, con la sfilata nella Piazza Rossa diventata ormai da anni il fulcro della religione laica del militarismo di Vladimir Putin, e l’appuntamento più importante dell’anno per il leader russo. Entro quella data il padrone del Cremlino vuole presentare una vittoria al suo popolo e segnare una svolta in quel conflitto che il suo ministro Sergey Lavrov fa risalire a radici storiche lontane, sostenendo che la Russia vuole ristabilire degli equilibri rispetto a un Occidente «diventato troppo arrogante dopo la Seconda guerra mondiale». E mentre gli attivisti del regime si stavano preparando a una parata della vittoria nella Mariupol martellata dalle bombe russe contro gli ultimi difensori del porto sul mare di Azov, nella regione di Kherson – unico capoluogo ucraino occupato dalle truppe russe – vengono accelerati i preparativi per il «referendum» che dovrebbe proclamare una «repubblica popolare» staccata da Kiev.

Sia Mosca che Kiev parlano della «fase due» della guerra, dopo che gli obiettivi iniziali dell’offensiva su tre fronti lanciata da Putin il 24 febbraio scorso sono stati fortemente ridimensionati. Il governo di Volodymyr Zelensky non solo non è stato rovesciato, ma è più forte che mai, godendo del sostegno del 90 per cento degli ucraini e di una solidarietà internazionale senza precedenti. Le truppe russe sono state costrette a ritirarsi dal Nord del Paese, e decine di migliaia di profughi stanno già rientrando a Kiev nonostante gli avvertimenti delle autorità che il pericolo di nuove offensive e soprattutto di attacchi con bombe e missili resta ancora molto elevato. La scoperta di decine di fosse comuni di civili torturati e uccisi – il numero delle vittime degli abitanti della regione di Kiev ha ormai superato le mille persone – è uno dei fattori che stanno bloccando il negoziato in corso da settimane tra russi e ucraini.

Il parlamento ucraino ha dichiarato le azioni degli invasori russi un «genocidio» e il presidente Zelensky ha ammesso che dopo la strage di civili, le torture e gli stupri degli abitanti di Bucha, Irpin e Borodianka, la prospettiva di una pace raggiunta per via diplomatica appare più complicata. Il destino della guerra si deciderà dunque sul campo di battaglia, anche perché l’Ucraina è passata alla controffensiva e non vede motivo di fermarsi proprio mentre sta liberando territori caduti in mano al nemico. Per la Russia è altrettanto fondamentale ottenere, prima di aprire la trattativa sulla tregua, un progresso sul campo che può presentare come una vittoria, seppure molto ridimensionata rispetto all’obiettivo iniziale di riportare tutta l’Ucraina sotto la sua mano.

Ora il politologo molto vicino al Cremlino Sergei Markov azzarda due scenari. Quello «base» prevede l’annessione dei territori di fatto già conquistati, le regioni di Donetsk e Lugansk, che compongono il cosiddetto Donbass, Kherson (cruciale per la logistica crimeana) e il porto di Mariupol, creando un corridoio che unisca la Crimea e le parti del Donbass annesse già nel 2014. In caso di successo dell’offensiva la Russia potrebbe spingersi oltre (secondo scenario), prendendo Mykolaiv e Odessa a sud e Zaporizzja, Kharkiv e forse Dnipro a est, quindi di fatto spaccando l’Ucraina in due, secondo quella visione nazionalista che vorrebbe dichiarare tutte le zone a prevalenza russofona come «mondo russo». Un progetto che per ora appare di difficile fattibilità e diversi esperti sottolineano come l’offensiva russa che dovrebbe accerchiare l’esercito ucraino nel Donbass sia un’operazione militare di una portata mai vista dai tempi della Seconda guerra mondiale.

Il consigliere della presidenza Ucraina, Oleksiy Arestovich, valida il numero dei russi che oggi partecipano all’invasione in 90 mila uomini, con almeno un quarto degli effettivi messi fuori gioco, morti o feriti (dati di settimana scorsa). Secondo il sito di monitoraggio Oryx, in due mesi la Russia ha perso 3 mila mezzi e armamenti pesanti, di cui quasi la metà sono stati catturati dagli ucraini e sono andati a rimpinguare l’arsenale di Kiev. Che si è scoperto pieno di sorprese, come i missili Neptun che hanno affondato l’ammiraglia della flotta russa del Mar Nero, l’incrociatore Moskva. Un colpo talmente umiliante da spingere il comando russo a negarlo, sostenendo che la nave sia affondata a causa di un incendio a bordo, e che tutto l’equipaggio fosse stato messo in salvo. Una bugia smentita immediatamente dai genitori dei marinai di leva, ai quali è stato annunciato che i loro figli erano «dispersi». Secondo le indiscrezioni raccolte dal giornale d’opposizione «Meduza», i morti sarebbero 37, i dispersi una quarantina e i feriti almeno un centinaio. L’affondamento del Moskva lascia senza copertura antiaerea praticamente tutto il resto della flotta russa nel Mar Nero, rendendo molto più difficile l’eventuale assalto con sbarco a Odessa.

Secondo alcune voci, il comandante della flotta Igor Osipov è stato arrestato, e per l’ex oligarca e dissidente Leonid Nevzlin, è andato ad aggiungersi ad altri venti generali incarcerati per ordine del Cremlino. Stessa sorte era toccata prima ai dirigenti del servizio segreto Fsb responsabili dell’Ucraina, e all’ex consigliere strategico di Putin Vladislav Surkov, incaricato negli ultimi anni di tessere i legami con i potenziali politici collaborazionisti a Kiev. Il suo principale alleato, il leader del partito filo russo, Viktor Medvedchuk, il «compare di Putin» che probabilmente avrebbe dovuto venire insediato al governo al posto di Zelensky, è stato arrestato dall’esercito ucraino mentre tentava di fuggire verso la Russia. Kiev ora propone di barattarlo in uno scambio prigionieri, un’altra umiliazione per il Cremlino. Che non ha più molto tempo a disposizione, non solo per rispettare la scadenza del 9 maggio imposta da Putin: la governatrice della Banca centrale Elvira Nabiullina ha dovuto ammettere per la prima volta, in un discorso davanti alla Duma, che le sanzioni internazionali cominciano a farsi sentire, e che l’economia russa non potrà reggere a lungo «sulle scorte accumulate». Nabiullina ritiene imminente una «trasformazione strutturale», un eufemismo per un’economia che secondo le proiezioni internazionali dovrebbe contrarsi dell’11-15 per cento, ma soprattutto rischiare di dover tornare alle tecnologie, e ai consumi, degli anni Ottanta, di un’epoca di scarsità di stampo sovietico, che lo sforzo bellico non farebbe che aggravare ulteriormente.