Stravince il peronismo redivivo in Argentina. La coalizione di centro sinistra Frente Amplio al governo in Uruguay registra invece una frenata, pur arrivando al primo posto al primo turno. Questi sono i risultati non scontati della giornata elettorale per le presidenziali che il 27 ottobre hanno ridisegnato gli equilibri politici dei due vicini del Cono Sur.
A Buenos Aires, il neoperonista radicale Alberto Fernandez e la sua vice, l’ex presidente Cristina Kirchner che in realtà è il suo capo politico, hanno disarcionato con il 48% dei voti il presidente in carica, il liberal di destra Mauricio Macri, fermo al 40%. Non ci sarà bisogno di ballottaggio. Fernandez è già presidente. Vittoria clamorosa del kirchnerismo, quindi, anche se Macri non è stato completamente spazzato via dal voto popolare come a un certo punto della campagna elettorale aveva temuto. Sarà comunque lui il leader dell’opposizione.
A Montevideo il Frente Amplio ha vinto con il 39% dei voti, ma si sente così tanto il fiato sul collo della destra di Luis Lacalle Pou, candidato del Partido nacional con il 28,6%, che considera il risultato una mezza sconfitta. Lo sfidante di destra ha infatti buone possibiità al ballottaggio del 24 novembre di vincere se riuscirà a far convergere su di sé tutti i voti gli elettori stufi del governo in carica. A guidare il Frente amplio – al potere ormai da quindici anni ed orfano della grande spendibilità politica del suo vecchio leader, l’ex presidente Pepe Mujica – è Daniel Martinez, ex sindaco di Montevideo. Martinez ha un margine di manovra assai ridotto rispetto al suo avversario. Difficile per lui raccogliere più consensi di quanti ne abbia già ottenuti al primo turno essendo il candidato di una coalizione che già raccoglie tutto ciò che esiste nell’area di centrosinistra in Uruguay. Complicato per lui conquistare nuovi interlocutori.
Diversa partita si gioca invece Lacalle Pou. Lui può puntare a inglobare i voti del Partido colorado, vecchia alternativa al Partido nacional nello spettro dell’area conservatrice uruguaiana. E soprattutto può provare a far convergere su di sé i voti andati a Cabildo abierto, una formazione appena nata, inventata dal nulla dall’ex comandante dell’esercito Guido Manini Rios, destituito dall’incarico dal presidente Tabaré Vazquez per dichiarazioni sulla dittatura militare che tenne in scacco il paese dal 1973 al 1984. Cabildo abierto è la sorpresa amara di queste elezioni. È apertamente di estrema destra, ha un linguaggio violento e xenofobo. È stata votata da un uruguaiano su dieci.
Ago della bilancia potrebbe essere la scelta di campo del Partido colorado. Il suo leader, Ernesto Talvi, economista, ha fatto subito una dichiarazione di voto esplicita a favore di Lacalle Pou e ha detto che si metterà a lavorare perché il Partido nacional vinca al ballottaggio. Si era negato durante la campagna elettorale a una eventuale collaborazione con Cabildo abierto, mostrava di avere una sorta di pregiudiziale ideologica verso una destra così estrema lasciando intendere di non voler uscire dai confini di una destra fortemente conservatrice, ma comunque democratica. Ma poi è andato ammorbidendosi nei confronti dell’ex comandante dell’esercito, ha lasciato capire che se ci sarà bisogno dei suoi voti potrebbe accettare di andare a prenderli. Per questo il Frente amplio trema. Guido Manini Rios si sente già al governo, ha detto ai suoi di votare per Lacalle Pou e ha fatto sapere di esser disposto ad accordarsi sia con il Partido nacional che con il Partido colorado sia sui temi della politica economica che sulla politica di sicurezza. Cercherà quindi di vendere al prezzo massimo il suo pacchetto di voti, che non è esiguo.
Il ballottaggio sarà uno scontro molto evidente tra due modelli di società opposta, l’appartenenza ideologica a due mondi contrapposti dei due candidati non potrebbe essere più chiara. Da notare che nel giorno del primo turno in Uruguay si votava anche una proposta presentata dai settori più conservatori del Partido nocional che chiedevano una riforma costituzionale fortemente repressiva per il governo dell’ordine pubblico. La piattaforma costituita per presentarla agli elettori è stata chiamata «Vivere senza paura», la campagna elettorale per sostenerla è stata svolta in realtà soffiando sulle peggiori paure del cittadino medio alimentando la percezione di emergenze sicurezza di ogni tipo. Si chiedeva di introdurre nell’ordinamento uruguaiano l’ergastolo (il fine pena: «mai», non è contemplato dalla legislazione attuale) e la creazione di un corpo di Guardia nazionale con membri delle forze armate. La proposta non è passata, non ha raggiunto il 50%.
In Argentina, invece, il risultato più clamoroso, ancor più della sconfitta al primo turno di Maurico Macri per mano del tandem Fernandez Kirchner, è stato il risultato brillante dell’ex ministro dell’Economia Axel Kicillof che ha conquistato la strategica poltrona di governatore della provincia di Buenos Aires. Kicillof ha battuto «por goleada», come dice lui, la governatrice uscente Maria Eugenia Vidal, sostenuta da Macri. Ha superato il 51%. La candidatura di Kicillof, da sempre pupillo di Cristina Kirchner – amico caro del primogenito di Cristina, Massimo Kirchner che è il capo della formazione La Campora, il gruppo di peronisti più radicali, caratterizzati da un linguaggio violento, modi piuttosto spicci, quelli a cui spesso vengono affidate le operazioni politicamente più aggressive – era stata di per sé una guerra a parte dentro il peronismo. Cristina Kirchner ha scelto Kicillof e l’ha imposto proprio per chiarire subito dentro il suo litigiosissimo partito chi comanda e chi sceglie le persone da mettere nei posti di potere.