Il nome che si temeva, puntualmente è arrivato, provocando reazioni durissime non solo nell’opinione pubblica tedesca. Chiama in causa infatti anche Joseph Ratzinger, il papa emerito Benedetto XVI (nella foto), oggi 94enne, il dettagliato rapporto che ricostruisce senza sconti le omissioni e le contraddizioni nell’operato dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga nell’affrontare la questione degli scandali legati alla pedofilia. L’indagine – commissionata dalla stessa arcidiocesi bavarese allo studio legale indipendente Westpfahl Spilker Wastl – prende in esame un arco temporale molto lungo, dal 1945 fino al 2019. E come era già accaduto qualche mese fa per un rapporto analogo affidato a un altro osservatorio indipendente dalla Conferenza episcopale francese, i risultati sono sconcertanti: in poco più di settant’anni in questa sola arcidiocesi tedesca sono state almeno 497 le vittime di abusi sessuali compiuti da persone legate alla Chiesa cattolica. Per il 60% si tratta di ragazzi maschi di età compresa tra gli 8 e i 14 anni. E nelle oltre 1900 pagine del rapporto vengono identificati ben 235 responsabili di abusi, in gran parte sacerdoti (173) e negli altri casi diaconi, altri incaricati pastorali o insegnanti.
Sono in particolare 4 i casi che si riferiscono ai quattro anni e mezzo tra il 1977 e il 1982 in cui l’allora arcivescovo Joseph Ratzinger guidò la più importante diocesi della Baviera. Il papa emerito ha riconosciuto di aver preso parte a una riunione in cui la Curia di Monaco decise di accogliere un sacerdote della diocesi di Essen accusato di pedofilia. Ma sostiene che si trattò di un’ospitalità finalizzata a un «trattamento terapeutico», anche se poi più tardi, quando lui non era più arcivescovo, il prete in questione ricevette nuovamente un incarico pastorale in una parrocchia nella quale avrebbe poi commesso nuovi abusi. Ratzinger – ha spiegato il suo storico segretario mons. Georg Gänswein – «sta leggendo attentamente» il rapporto che «lo riempie di vergogna e di dolore per le sofferenze inflitte alle vittime». E preannuncia che fornirà una «dichiarazione dettagliata» una volta terminato l’esame della documentazione.
Fu proprio l’allora cardinale Ratzinger nel 2005 – pochi giorni prima della morte di Giovanni Paolo II – a sollevare in un contesto solenne come le meditazioni per la Via crucis del Venerdì santo, al Colosseo, il tema della «sporcizia nella Chiesa», con un riferimento per nulla velato al comportamento dei sacerdoti. E una volta divenuto papa Benedetto XVI fu sempre lui a emanare norme canoniche più stringenti sulla tolleranza zero nei confronti dei preti pedofili, oltre a incontrare per primo personalmente le loro vittime.
Proprio questo accostamento, però, rende le accuse contro Ratzinger qualcosa di particolarmente duro per la Chiesa. Sbaglia chi le liquida evocando il complottismo o possibili «avvertimenti» nei confronti di papa Francesco stesso. Il problema vero posto da questi rapporti è la constatazione di un errore generalizzato da parte della Chiesa cattolica nella gestione dei casi di pedofilia che coinvolgevano membri del clero. Emerge una sottovalutazione del problema a ogni livello: la tendenza a pensare più alla salvaguardia dell’istituzione, che a prendersi cura delle ferite subite dalle vittime; non era il caso isolato di qualche vescovo che cercava goffamente di coprire gli scandali. Fino all’inizio del Duemila, quando le cronache giornalistiche hanno portato alla ribalta il problema, era una prassi diffusa nelle diocesi. Che preferivano allontanare i sacerdoti cercando (con scarso successo) di metterli in condizione di «non nuocere» piuttosto che fare davvero i conti con il problema.
Per questo oggi la questione non è puntare il dito contro Ratzinger, ma prendere coscienza che in quegli anni questo comportamento era la regola. E che – nonostante le nuove norme canoniche varate da Benedetto XVI stesso prima e da papa Francesco poi – questo tipo di mentalità non è affatto debellata tra i «quadri» della Chiesa cattolica.
Alla fine è la retorica delle poche «mele marce» a non reggere più di fronte a questo susseguirsi di ricostruzioni. Sarebbe profondamente ingiusto attribuire a tutti i preti cattolici la responsabilità di questi reati gravissimi. Ma dopo vent’anni di scandali rilanciati dai media è un dato di fatto che nella Chiesa cattolica si fatica ancora a promuovere un confronto interno serio sulla natura del sacerdozio, sulla solitudine dei preti e la loro vita affettiva, sull’ideale proposto nei seminari. E questo mostra come il problema vada ben al di là delle azioni disciplinari esemplari da adottare nei confronti di comportamenti umanamente intollerabili. A combattere la pedofilia non basta il carisma personale di papa Francesco; servono riflessioni e scelte radicali fondate non su una dotta teologia, ma sul confronto con le fragilità umane che non si capisce bene perché non dovrebbero toccare anche i sacerdoti. Forse per la Chiesa cattolica è tempo di riportare i preti con i piedi per terra. Per usare una parola cara a papa Francesco, di renderli fratelli molto più che padri spirituali.
Come rimuovere la «sporcizia» nella Chiesa?
Baviera - riemerge la constatazione di un errore generalizzato da parte dell’istituzione cattolica nella gestione dei casi di pedofilia
/ 07.02.2022
di Giorgio Bernardelli
di Giorgio Bernardelli