A volte ci sono notizie di peso che non lasciano traccia, semplicemente perché si palesano al momento sbagliato. È quello che è capitato a una modifica di legge destinata a dar nuova linfa alla politica famigliare del nostro Paese. Una riforma varata da una commissione parlamentare lo scorso 8 dicembre, il giorno dopo l’elezione in Consiglio federale di Elisabeth Baume-Schneider e di Albert Rösti. E il giorno stesso in cui il Governo si è incontrato per decidere della nuova ripartizione dei Dipartimenti. In quel momento c’era insomma altro di cui parlare. Eppure quella Commissione del Consiglio nazionale – che si occupa di scienza, educazione e cultura – ha messo sul piatto ben 770 milioni di franchi per migliorare la conciliabilità casa-lavoro e per facilitare la vita professionale delle donne e delle mamme. In terra elvetica una cifra del genere in questo ambito non si era mai vista, non per nulla il nostro Paese arranca costantemente nei bassifondi nelle classifiche internazionali elaborate su questa tematica. Basti pensare che nel 2021 una ricerca pubblicata dall’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, assegnava alla Svizzera il terz’ultimo posto, in una graduatoria composta da quarantuno Paesi.
Ora però le cose potrebbero cambiare, anche perché la riforma approvata in dicembre è sostenuta da una solida maggioranza, perlomeno a livello di Commissione. Si tratta in particolare di accrescere le capacità di accoglienza degli asili nido, in modo da garantire un servizio il più possibile uniforme su scala nazionale. «Il problema si pone sostanzialmente in questi termini: negli asili nido i posti a disposizione sono davvero pochi e il loro costo è troppo elevato. Ci sono Cantoni in cui questa fattura è tutto sommato sopportabile e altri dove invece questa spesa raggiunge persino il 25% del bilancio famigliare», ci dice Fabien Fivaz, consigliere nazionale neo-castellano dei Verdi e presidente della Commissione del Nazionale che ha approvato il cambio di marcia dello scorso dicembre. In questo ambito la competenza è essenzialmente in mano ai Cantoni, con un mosaico di ventisei sistemi diversi nella gestione scolastica dell’infanzia, asili nido compresi. L’obiettivo principale di questa riforma consiste nel ridurre del 20% su scala nazionale le tariffe degli asili nido, indipendentemente dal reddito dei genitori. A questo scopo verranno stanziati 710 dei 770 milioni previsti. Gli altri 60 serviranno invece per finanziare programmi specifici, come ad esempio dei progetti pilota. Toccherà poi ai Cantoni, alcuni già lo fanno, aggiungere delle proprie sovvenzioni per alleggerire il carico di questi costi che oggi pesano così tanto sulle famiglie.
Da notare che il meccanismo elaborato da questa riforma prevede un «malus»: i Cantoni che non fanno nulla per migliorare le condizioni di accoglienza dei bambini perderanno una parte delle sovvenzioni federali, a partire dal 2029. «Se vogliamo che anche le donne possano trovare spazio e soddisfazione nel mondo del lavoro – fa notare ancora Fivaz – con interruzioni limitate nel tempo dovute alla maternità, e con tempi di lavoro non solo parziali, allora il nostro Paese deve impegnarsi maggiormente rispetto a quanto fatto finora». E qui occorre sottolineare come anche una parte del mondo economico si sia mossa in favore di questo cambio di marcia. Da tempo l’Unione padronale svizzera, l’associazione mantello degli imprenditori, chiede uno sforzo in questo senso. Con un obiettivo di fondo che si può leggere in un comunicato stampa pubblicato lo scorso mese di settembre dalla stessa Unione padronale: «L’economia non può più fare a meno dell’apporto sostanziale di manodopera rappresentato dalle mamme». Insomma, c’è sempre più bisogno di migliorare la conciliabilità tra impegni casalinghi e professionali, anche perché il padronato è spesso in difficoltà nel trovare i dipendenti di cui ha bisogno, in un contesto segnato da una penuria di personale da primato. Sono ormai addirittura 250mila i posti di lavoro vacanti nel nostro Paese, stando a quanto rilevato all’inizio di questo mese dall’agenzia di collocamento zurighese X28. Un dato a cui va aggiunto quello della disoccupazione che nel 2022 è stato del 2,2%, il valore più basso degli ultimi vent’anni.
Certo, non tutte le associazioni che rappresentano il mondo economico si muovono in favore di questo sostegno alle famiglie. E non c’è unanimità nemmeno tra i partiti politici. La riforma varata a dicembre, che verrà discussa dal Consiglio nazionale nella prossima sessione primaverile, è avversata dalla destra – in particolare dall’UDC – scettica soprattutto a causa della cifra che si intende stanziare. «La critica principale è proprio quella che riguarda i costi, i 770 milioni previsti, e questo perché già oggi i conti della Confederazione sono piuttosto sofferenti. Non per nulla il Dipartimento federale delle finanze sta impostando una serie di risparmi per cercare di riequilibrare i conti pubblici», osserva Fivaz. E così in discussione in Parlamento ci saranno anche delle proposte meno costose. «Personalmente sono fiducioso e spero che la discussione in Consiglio nazionale permetta di mantenere questa cifra di 770 milioni. Al Consiglio degli Stati, la Camera dei Cantoni, sarà invece più complicato. C’è la questione, che ritorna costantemente, della sussidiarietà. A Berna molti parlamentari ritengono che la competenza in questo ambito debba rimanere esclusivamente nelle mani dei Cantoni, senza interventi da parte della Confederazione. E poi c’è una visione di fondo con cui si dovrà fare i conti: l’idea che i bambini debbano essere cresciuti in famiglia, con l’aiuto dei nonni ad esempio, dei parenti o dei vicini di casa. In questa ottica la presa a carico dei bambini è vista come una questione privata. E anche di questo sentiremo parlare durante i dibattiti parlamentari sulla riforma che abbiamo proposto».
Discussioni in cui emergerà di certo anche un altro tema: quello demografico. Nel corso del 2023 la Svizzera supererà i 9 milioni di abitanti, una soglia che verrà raggiunta soprattutto grazie all’immigrazione in arrivo dall’Unione Europea. Persone di cui ha bisogno il nostro mercato del lavoro, visto la carenza di personale di cui soffre il Paese. E anche qui, se fosse più facile per le donne e in generale per le famiglie conciliare gli impegni di casa con quelli professionali, forse l’immigrazione non sarebbe così importante. Ma qui si apre un altro capitolo, e di certo questo argomento – legato alla libera circolazione delle persone e alle nostre relazioni con l’Unione Europea – sarà tra i più dibattuti nella campagna politica che porterà alle elezioni federali di ottobre.