Lui continua imperterrito nella sua opera preferita: la demolizione sistematica di tutto ciò che fece il suo predecessore Barack Obama. L’ultimo esempio: il disgelo con Cuba. Anche su questo capitolo importante della politica estera obamiana (agevolato a suo tempo dalla mediazione di papa Francesco) Donald Trump fa marcia indietro. Non è una cancellazione totale – almeno inizialmente restano le relazioni diplomatiche normalizzate da Obama – però tornano in vigore alcune restrizioni commerciali e sanzioni economiche contro il regime castrista. La logica è sempre la stessa. Da un lato c’è una sorta di accanimento perverso a disfare l’eredità di Obama dopo avere tentato di demonizzarlo e delegittimarlo quando era in carica. D’altro lato Trump cerca di essere coerente nel mantenere le promesse fatte in campagna elettorale. Tra queste figurava anche l’indurimento contro Cuba. Tra le constituency che lo hanno aiutato a conquistare la Casa Bianca c’è la comunità cubano-americana degli intransigenti; sempre meno numerosi a dire il vero (anche una parte degli esuli ormai fanno affari con L’Avana e puntano a normalizzarla attraverso il capitalismo) e tuttavia tenaci e combattivi.
Da varie settimane però, qualsiasi cosa faccia Trump, l’attenzione dei media tende a scivolare altrove. E questo è un problema serio per uno showman come lui, la cui forza principale era proprio la capacità di dettare l’agenda ai media (anche a quelli ostili). Ora quel gioco non gli riesce più: più spesso subisce l’attualità invece di dettare i titoli. Gli scandali, sempre quelli, dominano l’attenzione più delle concrete azioni di governo. Lui reagisce rabbioso: «State assistendo alla singola più grande caccia alle streghe della storia politica americana!»
L’ultimo di questi scandali che lo accerchiano si chiama «ostruzione della giustizia». Forse sarà questa la causa della rovina di Trump? Ostruzione della giustizia è la colpa che precipitò la fine di Richard Nixon nel 1974. È il reato che venne imputato a Bill Clinton e gli procurò un «mezzo impeachment» (condanna alla Camera, assoluzione al Senato) nel 1998. In ambedue i casi i presidenti furono accusati di avere frapposto ostacoli alla giustizia: mentendo sotto giuramento, esercitando pressioni sull’Fbi, sulla magistratura o sui vertici dello stesso Dipartimento di Giustizia. È in questa direzione che si starebbe indirizzando il lavoro di Robert Mueller, l’ex capo dell’Fbi nominato dall’Amministrazione Trump per portare al termine l’inchiesta sul Russiagate. Che cosa rischia il presidente? Tutto dipende, ovviamente, da ciò che Mueller scoprirà nei prossimi mesi interrogando diversi esponenti del governo e dell’intelligence. Intanto gli esperti ragionano sui precedenti storici, e sulle procedure previste in questi casi, per tracciare uno scenario.
Reato federale, l’ostruzione o intralcio alla giustizia viene definita dalla legge come «il tentativo di influenzare, ostacolare o impedire la corretta applicazione della legge in un procedimento in corso». La prima cosa da stabilire, dunque, è se Trump abbia commesso questo reato. La risposta ruota in gran parte attorno ai suoi rapporti conflittuali con James Comey, l’ultimo capo dell’Fbi che Trump «ereditò» dall’Amministrazione Obama e che poi licenziò in tronco. Nella sua deposizione al Congresso, Comey ha già fornito due agganci per la possibile accusa di ostruzione della giustizia. Anzitutto, ha raccontato la sua versione di un colloquio a tu per tu col presidente, in cui Trump auspicava la fine dell’inchiesta Fbi sul generale Michael Flynn, il suo ex consigliere della sicurezza nazionale che è uno dei maggiori accusati per la collusione con i russi. Qui si tratta di stabilire se l’auspicio costituiva una pressione, oppure no. C’è poi il passaggio successivo: la cacciata dello stesso Comey dal vertice dell’Fbi. Se si conferma che quello fu il castigo perché l’indagine su Flynn non era stata insabbiata, le prove di ostruzione alla giustizia diventerebbero schiaccianti.
Ma che succederebbe, se Mueller arrivasse alla conclusione che il presidente è reo colpevole di ostruzione alla giustizia? Può Trump finire davanti a un tribunale federale come un cittadino qualunque? La risposta è no, almeno stando a due «pareri» – opinioni legali che fanno giurisprudenza – che il Dipartimento di Giustizia diede in due epoche diverse, nel 1973 e nel 2000. Un eventuale processo al presidente, magari concluso con una condanna, gli impedirebbe di svolgere le sue funzioni di capo dell’esecutivo. Diverso è il caso di un ex-presidente, che può essere processato: infatti Nixon evitò di finire la sua esistenza nelle aule dei tribunali solo perché il suo successore Gerald Ford lo graziò col perdono presidenziale.
Se un presidente in carica non può essere giudicato da un tribunale ordinario, non resta che la via maestra prevista dalla Costituzione: l’impeachment. Se l’indagine sul Russiagate guidata da Mueller dovesse concludere che Trump ha commesso il reato di ostruzione alla giustizia, gli atti di questa inchiesta potrebbero servire a far scattare il procedimento d’impeachment. Il primo passaggio in tal caso spetta alla Camera che deve votare l’incriminazione. Oppure la Camera può nominare a sua volta un super-procuratore speciale, che rifaccia l’indagine di Mueller e la trasformi in un’istruttoria in vista del processo, che in caso d’incriminazione si svolgerà al Senato. Ma se la palla arriva al Congresso, le decisioni diventano inevitabilmente politiche. Non basta che ci siano i presupposti del reato, i deputati si faranno guidare da considerazioni tattiche. Certo peserà su di loro l’impatto sull’opinione pubblica, la forza dei precedenti, i casi Nixon-Clinton e l’uso che venne fatto allora dell’accusa di ostruzione alla giustizia. Più ancora peserà la dinamica elettorale. La totalità dei deputati e un terzo dei senatori affronteranno le elezioni legislative di mid-term nel novembre del 2018. Se la popolarità di Trump dovesse subire ulteriori cali, e mettere a repentaglio la rielezione di alcuni parlamentari repubblicani, allora anche all’interno del suo partito potrebbe formarsi una fronda favorevole all’avvio dell’impeachment. Con l’obiettivo di una presidenza Pence, più organica all’establishment del partito.