Era solo questione di tempo, prima che le teorie del complotto cominciassero a circolare in rete a proposito degli attentati di Pasqua nello Sri Lanka. L’attentato più sanguinoso della storia recente dell’Asia del sud, difatti, è ancora per molti versi non del tutto comprensibile. A parte la rivendicazione da parte dell’Isis non sono del tutto chiari né i mandanti né il movente di quella che agli occhi di molti è apparsa come una vera e propria azione di guerra. Così, in assenza di riscontri ufficiali dettagliati e univoci, fioriscono su media e siti web quel genere di teorie che riscuotono grande successo di pubblico e diventano reali per una fetta di fruitori dell’informazione soltanto in base alla reiterazione dell’enunciato. Dopo l’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre, una delle teorie più accreditate da analisti da bar e teorici del complotto era: «Nessun ebreo è morto nelle torri gemelle». Falso, ma tanta gente ci crede ancora.
Nei giorni scorsi, puntualmente, il quotidiano pakistano «Daily Mail» ha pubblicato, con tanto di titolo a effetto, un articolo che recita testualmente: «nessuna proprietà o luogo di culto induista e nessuna attività commerciale indiana sono state colpite durante gli attacchi di Colombo. È interessante notare che gli attentatori suicidi sembra siano stati molto attenti a non colpire nessuna attività commerciale indiana visto che, mentre hanno attaccato tutti i maggior hotel della zona, inclusi il Cinnamon Grand Hotel e il Kingsbury hotel, hanno preferito ignorare uno dei maggiori alberghi indiani, il Taj Samudra, che si trova a ridosso degli altri due». Il Taj Samudra era in realtà uno dei bersagli previsti, e i suoi ospiti sono scampati al massacro soltanto perché l’attentatore non è riuscito a far detonare il suo zainetto con esplosivo d’ordinanza. È stato ripreso dalle telecamere di sicurezza dell’albergo e le riprese video circolano in rete e nelle redazioni dei giornali da giorni.
Eppure, esattamente come nel caso delle Torri gemelle, la notizia continua a essere rilanciata e commentata in Pakistan e adoperata per convalidare un’altra teoria del complotto: l’India, nonostante avesse ufficialmente avvertito il governo dello Sri Lanka della concreta possibilità di attentati, ha in realtà organizzato gli attentati per distruggere le relazioni tra Pakistan e Sri Lanka. Il fatto è che Islamabad ha la necessità assoluta di provare la sua totale estraneità a un’azione di guerra che è simile, troppo simile a quella di Mumbai del 2008. E i fatti non aiutano. Dal 2004, difatti, all’indomani dello tsunami, la Lashkar-i-Toiba ha cominciato a infiltrare lo Sri Lanka e le Maldive per mezzo delle sue organizzazioni umanitarie.
La presenza di cittadini dello Sri Lanka è stata registrata nei campi di addestramento della LiT in Punjab e nel Khyber Pakhtunkhwa e la presenza di basi della LiT era stata confermata nel 2010 anche dall’ammiraglio americano John Willard. Negli anni sono sorte come funghi madrasa finanziate dai sauditi in cui si studia su libri di testo direttamente importati dal Pakistan, e l’Isi, i servizi segreti di Islamabad, è stata negli anni particolarmente attiva a livello diplomatico. Ha fornito armi e assistenza all’ex-presidente Rajapaksa per sconfiggere definitivamente le Tigri Tamil. E lo stesso Rajapaksa ha stipulato gli accordi che hanno permesso a Colombo di entrare ufficialmente nella Belt and Road cinese per ritrovarsi poi strangolata dai debiti.
Voci di corridoio mai provate sostenevano inoltre che la Thowheet Jamaat, il gruppo locale accusato di aver condotto materialmente l’attacco, fosse stata fondata proprio dallo stesso Rajapaksa. L’organizzazione, affiliata idealmente al franchising dell’Isis, secondo gli organizzatori ha agito con la partnership di uno sconosciuto gruppo chiamato Jamaat-ul-Mujahidin India. L’unica Jamaat-ul-Mujahidin nota alle cronache però è quella del Bangladesh, che nei giorni scorsi ha rivendicato un paio di attentati minori a Dakha e che è stata finanziata per anni dalla pakistani High Commission in Bangladesh.
Quest’anno nello Sri Lanka si vota. E Rajapaksha negli ultimi due anni ha fatto diversi viaggi in Pakistan invitato dall’esercito e dall’Isi. In particolare, in un evento organizzato alla Pakistan National Defence University, è stato apertamente elogiato da ministri e generali che hanno testualmente dichiarato: «Il Pakistan sarà al tuo fianco in ogni situazione». L’attuale governo, che è stato scientemente tenuto all’oscuro dai servizi segreti dell’informativa indiana, è piuttosto inviso sia ai cinesi che a Islamabad. E, dopo la strage di Pasqua, sembra non abbia possibilità alcuna di vincere le elezioni.
Si candida invece il fratello dell’ex presidente Rajapaksa, Gotabaya, un signore denunciato dagli Stati Uniti per tortura e crimini contro l’umanità. Attenersi ai fatti documentati e domandarsi a chi giova l’attentato di Colombo e dintorni, e chi aveva le capacità logistiche, finanziarie e tecniche per appaltare alle tuniche nere la paternità dell’azione, sarebbe forse un esercizio da consigliare a chiunque, in rete e nella vita reale.