Colombia, la brutalità continua

Le proteste innescate dal progetto di riforma fiscale non accennano a calmarsi mentre la repressione da parte di polizia ed esercito ha già causato la morte di una quarantina di persone. Oltre 400 i desaparecidos
/ 17.05.2021
di Angela Nocioni

Esercito spedito in strada, polizia che spara contro pacifici cortei di protesta di studenti e medici, il capo del Governo che vive trincerato dentro uno studio televisivo e da lì elogia gli agenti che uccidono. Sta accadendo questo in Colombia, dal primo maggio scorso. Le cifre verificate riguardo il numero delle vittime sono terribili, di sicuro inferiori al bilancio definitivo al momento impossibile da tracciare. Soltanto fino al 7 maggio si contano una quarantina di morti accertati, alcune centinaia di feriti e migliaia di arresti senza il rispetto dei limiti di legge, lo sostiene l’ong Temblores che ha tentato di tenere una contabilità delle denunce verificate. Il numero più preoccupante è però un altro: oltre 400 desaparecidos secondo quanto risulta a ben 26 diverse organizzazioni sociali citate dal quotidiano «El Espectador» di Bogotà.

Le vittime sono quasi tutti ragazzini. A scendere in strada contro il Governo è stata una eterogenea porzione di società civile: insegnanti, sindacati, tassisti, camionisti, gruppi indigeni, medici, studenti, pensionati. Il presidente Ivan Duque li ha definiti terroristi e pericolosi criminali, seguendo la linea dettata subito dall’ex presidente Alvaro Uribe, a tutti gli effetti il suo capo politico, che ha twittato: «Appoggiamo il diritto di soldati e poliziotti di usare le armi per difendere sé stessi, gli altri e i beni attaccati dall’azione criminale del terrorismo vandalico».

Duque, di estrema destra, eletto nel 2018 come erede designato dell’ex presidente Alvaro Uribe allora impossibilitato a candidarsi, s’è impuntato nel voler imporre ad ogni costo una riforma fiscale piuttosto rozza che avrebbe dovuto risolvere il problema delle casse statali svuotate dalla crisi economica e sociale aggravata dalla pandemia. La normativa prevede un grosso aumento dell’Iva e grava soprattutto sulle fasce più povere della popolazione poiché i rincari coinvolgono beni alimentari essenziali. Contro una riforma tributaria siffatta, presentata il 15 aprile al Congresso nel mezzo di una drammatica situazione d’emergenza dovuta all’epidemia di Covid, si sono levate critiche anche dalla destra liberal che ha chiesto al presidente di cestinarla perché economicamente iniqua e socialmente insostenibile. La disoccupazione in Colombia è altissima. Il Paese non regge la pandemia, a livello sanitario e sociale. La povertà è cresciuta dal 35,7 per cento del 2019 al 42,5 per cento del 2020, secondo il Dipartimento di statistica nazionale.

La riforma è stata mantenuta intatta e il primo maggio nelle principali città colombiane si sono svolte molte manifestazioni per chiederne il ritiro. La polizia è scesa subito in strada con l’intenzione di sparare. Il primo morto è stato causato dalla «Squadra mobile anti-sommossa» a Bogotà: un ragazzino ucciso a freddo, il suo corpo circondato da agenti che hanno impedito ogni soccorso. La notizia è corsa attraverso le reti sociali, la protesta si è infiammata ovunque. In seguito Duque ha ritirato la legge. Si sono moltiplicate le notizie di giovani uccisi a bruciapelo dalla polizia, alcune documentate da video che sono rimbalzati nei telefonini. Il 3 maggio si è dimesso il ministro dell’industria, Alberto Carrasquilla, ideatore della riforma. Ivan Duque ha messo di nuovo l’esercito in strada. Il coprifuoco è stato da allora regolamente violato, le proteste sono andate avanti, il Governo ha continuato a far passare sistematicamente tutti i manifestanti per criminali o terroristi.

La questione della sicurezza e della gestione militare dell’ordine pubblico ha da decenni un ruolo centrale nella storia del partito Centro democratico al quale appartiene Duque e nell’intera galassia uribista che nell’emergenza anti-terrorismo ha prosperato creando un impero politico in Colombia. Di fronte alla ostentazione della violenza delle forze dell’ordine e alla esplicita copertura politica di ogni eccesso offerta dal Governo il 4 maggio, si è svegliato anche il Comitato affari esteri della Camera statunitense che s’è sentito in dovere di dichiarare un burocratico alt: «Gli Stati uniti non appoggiano forze di sicurezza coinvolte in violazioni severe di diritti umani», ha scritto in un documento. Dopo un quarto d’ora Duque ha riaffermato il suo sostegno alla strategia adottata da polizia ed esercito.

Le situazioni più preoccupanti al momento riguardano Bogotà e Cali, dove la violazione del coprifuoco è sistematica e quindi il rischio di nuove vittime costante. Incursioni notturne contro le stazioni di polizia hanno incendiato in particolare Bogotà causando una decina di morti, quasi tutti adolescenti, e più di 200 feriti, la metà dei quali per colpi di arma da fuoco. La rivolta popolare nella capitale della Colombia, soprattutto nei sobborghi, è scoppiata dopo la diffusione di un video, girato da testimoni oculari amici della vittima, che dimostra l’aggressione da parte di poliziotti contro un avvocato quarantenne disarmato, Javier Ordoñez, fermato con l’accusa di aver violato il divieto di consumare alcolici, norma che fa parte del pacchetto anti-Covid.

L’avvocato ha chiesto agli agenti che gli venisse regolarmente contestata l’infrazione attraverso una multa. Loro lo hanno invece colpito più volte con il taser e portato in questura, dove è morto in seguito a una infinità di percosse e scariche elettriche. Quando è stato portato dalla polizia in una clinica all’alba era già cadavere. La dinamica dell’aggressione da parte degli agenti, il ruolo fondamentale della diffusione del video e le immagini dell’avvocato che implora «vi prego non ce la faccio, per favore basta», mentre i suoi amici gridano agli agenti «basta, lo state ammazzando, vi stiamo filmando», sono molto simili, per la violenza e per l’effetto di miccia che hanno avuto, all’omicidio di George Floyd a Minneapolis, che ha scatenato poi l’ondata di manifestazioni «Blacks lives matter» negli Usa.

La pressione internazionale sul Governo colombiano ha intanto sortito un primo effetto: ha costretto Duque ad accettare la formazione di un tavolo di dialogo con una rappresentanza dei manifestanti. Ma un primo approccio preparatorio alla discussione è già saltato. La disponibilità concessa a denti stretti dal Governo potrebbe quindi risolversi in un bluff utile a Duque per non isolarsi sul piano internazionale.