Sono molti anni, ormai, che si sentono grida di «al lupo, al lupo». Ma forse questa volta il lupo – una crisi mortale della Corea del Nord provocata dalla fine degli aiuti cinesi – sta davvero per arrivare. In Cina le critiche aperte al Paese vicino e alleato si sono moltiplicate fin dagli ultimi anni di potere di Kim Jong-il, il padre e mentore dell’attuale dittatore nordcoreano Kim Jong-un, morto nel 2011: imprenditori esasperati dopo aver atteso invano per anni la sempre promessa e mai realizzata apertura del mercato, funzionari e semplici cittadini che si chiedevano cosa mai il piccolo e chiuso vicino – che i media anglosassoni chiamano «the hermit kingdom» – desse alla Cina in cambio dei massicci aiuti finanziari che gli hanno permesso di sopravvivere nonostante il crescente isolamento e il collasso economico.
Le voci critiche hanno raggiunto vette mai toccate in precedenza con l’assassinio a Kuala Lumpur di Kim Jong-nam – il primogenito di Kim Jong-il e fratellastro del dittatore in carica – e la seguente raffica di test missilistici che ha indotto la Corea del Sud ad accelerare lo spiegamento del Terminal High Altitude Aerea Defense o Thaad, un sistema di difesa americano (è fabbricato dalla Martin-Lockheed) temutissimo dagli strateghi cinesi. Il Thaad, secondo gli esperti di armamenti, è un sistema estremamente avanzato che, se schierato in Corea del Sud, potrebbe intercettare i missili cinesi diretti verso gli Usa e il Giappone, con conseguenze evidenti per le ambizioni strategiche della Cina. L’atteggiamento aggressivo della Corea del Nord, inoltre, ha scatenato una corsa al riarmo che coinvolge lo stesso Giappone e altri Paesi asiatici che temono l’emergere della potenza cinese, come il Vietnam e l’Indonesia.
Gli osservatori ritengono che Pyongyang non sia lontana dal raggiungere la capacità di colpire con i suoi missili e con le sue testate nucleari non solo la Corea del Sud e il Giappone ma anche le coste degli Stati Uniti. Non per niente John Mattis, segretario alla difesa dell’Amministrazione Trump, si è recato di persona a Seul per caldeggiare un’accelerazione dell’installazione del Thaad. Non per niente si è tornato a parlare dello schieramento in Corea del Sud di armi atomiche americane. E non per niente – per la prima volta – si sente parlare di un possibile attacco preventivo americano contro le installazioni nucleari e missilistiche della Corea del Nord.
A complicare la situazione c’è la crisi politica in corso nella Corea del Sud: dopo le dimissioni forzate da uno scandalo della presidente Park Geun-hye il governo del Paese è guidato da un leader provvisorio, il primo ministro Hwang Kyo-han, ed è diviso tra chi – l’esercito e i suoi molti sostenitori nel mondo politico – ritiene indispensabile lo schieramento in tempi accelerati del Thaad e una larga parte dell’opinione pubblica, che è ostile ad un rafforzamento della presenza americana nel Paese.
È proprio per timore di sviluppi come quelli che si stanno verificando che la Cina, per oltre dieci anni, da quando la Corea del Nord realizzò il suo primo test nucleare, nel 2006, ha cercato di promuovere la cosiddetta «denuclearizzazione della penisola coreana», cioè la rinuncia di Pyongyang al proprio programma nucleare, accoppiata alla riduzione – e idealmente all’eliminazione totale – della presenza dei militari americani in Corea del Sud. Pechino ha promosso i «Six-party talks» (le due Coree, gli Usa, la Cina, il Giappone e la Russia), di fatto un tentativo fallito di avviare un dialogo tra Pyongyang e Washington.
Se l’opinione pubblica cinese è piuttosto critica verso la Corea del Nord, i suoi maggiori sostenitori sono i militari. Il pensiero strategico cinese è infatti basato sulla prospettiva di un futuro confronto nel Pacifico con gli Usa – un confronto che non implica necessariamente una guerra ma che dovrebbe portare all’affermazione della Cina come potenza dominante nell’Asia meridionale ed orientale. In vista di questo non è certo facile, per gli strateghi cinesi, rinunciare ad un alleato agguerrito e – fino a ieri – affidabile come la Corea del Nord.
Quanto all’assassinio di Kim Jong-nam all’aeroporto di Kuala Lumpur – che sembra uscito dalla sceneggiatura di un film di James Bond – anche se non ci sono prove definitive gli osservatori sono unanimi nell’attribuirlo al fratellastro, il dittatore Kim Jong-un. Il primogenito di Kim Jong-il viveva tra Pechino e Macao, sotto la protezione dei servizi di sicurezza cinesi e qualcuno ha ipotizzato che avrebbe potuto essere il candidato cinese per un regime change. Di sicuro, l’assassinio ha provocato un ulteriore isolamento di Pyongyang, rovinando le sue relazioni con tre Paesi della regione. Non solo con la Malaysia – per ragioni evidenti – ma anche con Vietnam e Indonesia, dato che una donna vietnamita e una indonesiana sono state arrestate perché sospettate di essere le killer che hanno ucciso Kim Jong-nam. La Corea del Nord non diffonde statistiche ma già prima di questi sviluppi si riteneva che il 90% del suo commercio avesse luogo con la Cina. I Paesi del Sudest asiatico, e in particolare la Malaysia, avevano comunque mantenuto relazioni amichevoli con Pyongyang e scambi commerciali limitati ma comunque importanti per un Paese isolato come la Corea del Nord.
Dopo l’assassinio di Jong-nam, Pechino ha bloccato le esportazioni di carbone verso la Corea del Nord, senza fornire motivazioni. Un portavoce del Ministero della difesa, Ren Guoqiang, ha risposto alla domanda di un giornalista sulla preparazione della Cina di fronte ad un eventuale collasso della Corea del Nord, affermando che «i militari cinesi prenderanno le misure necessarie» per «proteggere la sicurezza e la sovranità» del Paese. In altre parole, Pechino è pronta a fronteggiare un’ondata di profughi provenienti dall’«hermit kingdom». In una mossa inspiegabile, almeno sulla base delle informazioni disponibili, Pyongyang ha sparato a zero sulla sua protettrice, accusando «un Paese vicino» di «atteggiarsi a grande potenza» ma in realtà «ballando sulla musica degli Usa». Il commento, dell’agenzia nordcoreana KCNA, non nomina la Cina ma il suo bersaglio è evidente.