Jeannette Schaller è responsabile della pianificazione finanziaria alla Banca Migros

Deduzione di coordinamento
Serve per determinare il salario assicurato presso la cassa pensione. Esso corrisponde ai 7/8 della rendita AVS massima, che attualmente è di 24’885 franchi l’anno, mentre dal 2021 sarà di 25’095 franchi. Questo importo viene detratto dallo stipendio base dell’assicurato.

Pensioni femminili più basse: ecco perché
Le rendite AVS percepite dalle donne sono tra il 5 e il 10% inferiori a quelle dei maschi. Le cause: lavoro part-time, congedi maternità, aspettativa di vita più elevata e disparità salariale. Che le differenze non siano maggiori è dovuto alla ridistribuzione tra redditi alti e bassi, agli accrediti educativi e allo splitting.
Le rendite di cassa pensione delle donne sono molto più basse: mediamente qui il divario previdenziale si attesta a quasi il 50%. Le cause: redditi bassi, deduzione di coordinamento, età pensionabile inferiore a quella degli uomini (che si ripercuote positivamente sull’AVS). Le donne impiegate in settori con stipendi bassi sono svantaggiate, perché di norma in questo segmento salariale le casse pensione allineano i loro piani previdenziali molto vicino ai requisiti minimi della LPP e solo raramente contemplano prestazioni volontarie.


«Chiedete la parità di salario»

Intervista - Le donne ricevono fino al 10% in meno di pensione AVS e addirittura quasi il 50% in meno di rendita di cassa pensione rispetto agli uomini. Jeannette Schaller, responsabile pianificazione finanziaria di Banca Migros, ne spiega i motivi e le contromisure per evitare o limitare una lacuna previdenziale
/ 16.11.2020
di Benita Vogel

Talvolta le donne ricevono dall’AVS o dal secondo pilastro molte meno prestazioni degli uomini (v. scheda). Com’è possibile una cosa del genere al giorno d’oggi, nel 2020?
È stupefacente. In questo campo siamo molto indietro rispetto agli altri Paesi europei. Posso spiegarmelo solo con la lentezza del nostro sistema politico. D’altronde, c’è voluto molto tempo prima che la Svizzera introducesse il suffragio femminile e l’assicurazione maternità.

Il nostro sistema previdenziale non è proprio concepito per le donne…
Non c’era ancora bisogno che lo fosse, quando l’AVS fu introdotta oltre 70 anni fa. All’epoca l’uomo lavorava a tempo pieno e con un livello salariale relativamente alto. La donna restava a casa e dipendeva finanziariamente da lui. Oggi un sistema orientato su un’elevata attività lavorativa è inadeguato, quando non addirittura ostacolante. E non solo per via delle donne. Infatti, sempre più uomini lavorano a tempo parziale o come casalinghi e sono altrettanto svantaggiati.

Perché nessuno lo cambia?
Con la lentezza del nostro sistema, non è così facile. Ci sono continue proposte politiche in tal senso, ma finora senza successo. E adesso che i servizi sociali sono in difficoltà finanziarie, diventa difficile trovare più fondi per colmare le lacune.

Come si può porre rimedio agli svantaggi per le donne?
Ci sono già stati adeguamenti per quanto riguarda l’AVS. Con lo splitting, oggi la donna riceve una propria rendita di vecchiaia. E con gli accrediti per compiti educativi viene calcolato un reddito fittizio per la cura dei figli, benché anche con esso non si raggiunga la rendita massima. Per migliorare realmente la condizione femminile o dei lavoratori part-time c’è bisogno di più opportunità per poter fare una carriera a tempo parziale, ma anche la volontà di continuare a svolgere mansioni di responsabilità con relativi orari di lavoro e livelli salariali. Comunque, secondo me c’è molto più bisogno di agire sul secondo pilastro.

Quali riforme della cassa pensione sarebbero auspicabili?
Il lavoro parziale e i congedi parentali non dovrebbero più essere penalizzati. Le riforme sono davvero necessarie. Una leva importante è costituita dalla deduzione di coordinamento (v. a lato). Più è elevata, più il salario assicurato e la rendita sono ridotti. Il che ha effetti gravi soprattutto nel segmento dei salari bassi o dei lavoratori part-time.

Si dovrebbe quindi abolire la deduzione di coordinamento?
È una possibilità. Sicuramente si dovrebbe ridurla sensibilmente per gli assicurati con salari bassi. Un altro grande beneficio si avrebbe se, nel caso di più lavori a tempo parziale, la deduzione di coordinamento non fosse detratta da ogni singola attività part-time, ma dalla somma di tutte. Così facendo, gli interessati avrebbero la possibilità di essere inclusi in una cassa pensione. Avere un secondo pilastro è importante, perché con la sola AVS non si riesce a vivere, poiché copre soltanto una piccola parte del sostentamento.

Che ne pensa di una cassa pensione anche per le casalinghe e i casalinghi?
Al momento le casse pensione sono collegate a un’attività lucrativa. Tuttavia, come per l’AVS, vi si potrebbe inserire un reddito fittizio per il lavoro svolto a casa. È tutta una questione di fattibilità finanziaria. Una soluzione del genere, però, potrebbe anche avere l’effetto che le donne non vogliano più lavorare. Preferirei quindi creare nuove possibilità di previdenza privata, come ad esempio che le donne possano versare importi maggiori nel terzo pilastro dopo essere tornate al lavoro al termine del congedo maternità. Sarebbe anche utile rendere più flessibile l’età pensionabile, in modo che le donne possano versare i contributi per lo stesso periodo degli uomini. Oggi, per il secondo e il terzo pilastro, l’età di pensionamento più bassa rappresenta uno svantaggio. Con ciò non voglio dire che le donne debbano lavorare fino a 70 anni, ma semplicemente che la durata va parificata.

Cosa devono fare le donne per evitare le lacune previdenziali?
Ancora oggi, durante i colloqui di consulenza, sento spesso affermazioni del tipo: «Della previdenza si occupa mio marito. Mi fido di lui». Le interessate riducono il proprio tempo di lavoro o smettono completamente di lavorare senza essere coscienti delle conseguenze. Che diventano tragiche se non si fa parte di alcuna cassa pensione. Cosa succede se un giorno si dovesse divorziare? Può diventare molto difficile dal punto di vista finanziario. In caso di divorzio, il coniuge riceve la metà degli averi di cassa pensione accantonati durante il matrimonio. Tuttavia, il reinserimento professionale e la conseguente costituzione di un’adeguata previdenza pensionistica, spesso non sono così facili. C’è quindi bisogno che le donne siano finalmente consapevoli e sappiano che una propria previdenza è importante.

Purtroppo la consapevolezza da sola non basta.
No, ma acquisire le conoscenze necessarie o elaborare un piano finanziario con la banca, non fa mai male. Ad ogni madre consiglierei di rimanere attiva professionalmente il più a lungo possibile. Un’altra cosa importante: chiedere modelli di lavoro flessibili e posizioni di responsabilità e, soprattutto, parità di salario, affinché le perdite non siano troppo drastiche. Quando i figli sono più grandi, vale la pena aumentare il tempo di lavoro e incrementare o strutturare la previdenza in modo mirato, ad esempio riscattando quote di cassa pensione o costituendo un terzo pilastro.

Ma la previdenza privata è praticamente impossibile per le donne con un reddito basso. Lei cosa consiglia?
È certamente difficile. L’importante è mettere da parte qualcosa ogni volta che si può. Se non nel terzo pilastro, allora su un conto risparmio. Eventualmente si può risparmiare tramite il proprio partner, che potrebbe ricompensare volontariamente l’educazione dei figli e il lavoro domestico – benché una soluzione del genere potrebbe creare conflitti in caso di divorzio. A lungo termine, tutti devono effettuare risparmi supplementari. Il primo e il secondo pilastro, infatti, non bastano a coprire l’abituale livello di vita anche in età avanzata.

Ci sono svantaggi anche per gli uomini nel sistema pensionistico?
Nel caso della rendita per i superstiti. Una vedova riceve una rendita anche dopo che i figli hanno raggiunto la maggiore età, mentre un vedovo non la percepisce più dopo il compimento del 18° anno dei figli. Anche questo è il risultato di una concezione obsoleta dei ruoli.

Le donne hanno esigenze previdenziali diverse dagli uomini?
Per quanto riguarda i prodotti non vedo alcuna differenza. È vero che si dice sempre che le donne corrono meno rischi con i titoli azionari, ma personalmente non posso confermarlo. Le donne vogliono essere indirizzate e consigliate in maniera diversa dagli uomini. E apprezzano anche di essere seguite da donne.