Tutte le strade portano in Pakistan, quando si tratta di terrorismo. Era di origini pakistane, pur essendo cittadino britannico, l’attentatore della sinagoga in Texas Malik Faisal Akram (una decina di giorni fa ha preso in ostaggio 4 persone, poi è stato ucciso). Dal 2007 al 2020 aveva compiuto una decina di viaggi in Pakistan e, negli ultimi anni, si era unito alla Tablighi Jamaat: organizzazione pseudo-religiosa bandita di recente perfino dai sauditi per costituire «un pericolo per la società e l’anticamera del terrorismo». L’organizzazione, di cui esiste per inciso una forte rappresentanza a Brescia, è monitorata da tempo dall’intelligence, italiana e non solo, per i legami più volte provati con Al Qaida. Dal «centro culturale» Tablighi di Brescia sono passati un certo numero di terroristi o ideologi del terrorismo. Sia in Francia che in Inghilterra sia negli Stati uniti si sono trovati legami dell’organizzazione con vari gruppi terroristici, ma fino a questo momento in Occidente soltanto la Russia l’ha dichiarata fuorilegge.
La sede centrale dei Tablighi in Europa si trova, guarda caso, in Inghilterra: a Dewsbury, dove è stata costruita nel 1978 grazie alle donazioni della Lega musulmana mondiale. E da dove diffonde da allora il suo «messaggio di pace». Lo stesso messaggio a base di odio razziale e religioso diffuso da Akram che, dopo aver preso gli ostaggi, domandava la liberazione del «prigioniero 650» di Bagram (l’ex carcere afghano nella base militare Usa di Bagram): un altro pakistano. Anzi, una pakistana. Perché il «prigioniero 650» non è altro che la famosa, o più correttamente famigerata, Aafia Siddiqui. Nota alle cronache di mezzo mondo come «Lady Al Qaida», «la grigia signora di Bagram», «la Mata Hari di Al Qaida» e, in Pakistan, definita «figlia della Nazione» per cui il Governo di Islamabad ha provveduto assistenza legale e per la cui liberazione si è speso in ogni modo, arrivando a proporre più di una volta scambi di prigionieri di alto profilo in cambio di Aafia.
La donna, laureata al Mit di Boston e con un master in neuroscienze cognitive ottenuto alla Brandeis University, si trova attualmente nella prigione di Fort Worth in Texas a scontare una pena detentiva di 86 anni comminatale per il tentato omicidio di un militare americano: mentre veniva interrogata in Afghanistan, difatti, pare che la «figlia della Nazione» abbia afferrato il fucile del militare e gli abbia sparato a sangue freddo. Trasferitasi da adolescente da Karachi, dove è nata, agli Stati uniti, pare che la giovane Aafia abbia dimostrato fin da subito una spiccata predilezione per le tesi fondamentaliste e per l’integralismo religioso. Subito dopo l’11 settembre il suo attivismo ha attirato l’attenzione del Federal bureau of investigation (Fbi), e nel 2002 Siddiqui e suo marito sono stati interrogati sull’acquisto di circa 10’000 dollari di occhiali per la visione notturna, giubbotti antiproiettile e libri di autoistruzione militare. La coppia è tornata in Pakistan subito dopo, ma ha divorziato nell’agosto 2002. Nel dicembre 2002 Aafia Siddiqui tornava negli Stati uniti, ufficialmente per candidarsi a un posto da ricercatrice.
In realtà, avrebbero poi scoperto gli investigatori, per aprire e gestire una casella postale a nome di Majid Khan, un agente di Al Qaida con sede a Baltimora che avrebbe raccolto cinquantamila dollari: per bombardare un hotel in Indonesia e per far saltare in aria un certo numero di stazioni di servizio negli Stati uniti. A un certo punto, nel 2003, dopo essere tornata a Karachi per sposare il nipote di quel Khalid Sheikh Mohammed che aveva progettato gli attentati dell’11 settembre, Aafia scompare. Nascosta con la famiglia di Mohammed, dicono alcuni, mentre altri sostengono che sia nelle mani dell’Isi pakistana. Circolano voci di questa donna misteriosa prigioniera a Bagram, in sostegno della quale i detenuti avrebbero organizzato, nel 2005, perfino uno sciopero della fame. Cinque anni dopo la sua scomparsa, nel 2008, Aafia riappare a Ghazni, in Afghanistan, dove viene arrestata dalla polizia afghana e dove appunto, nel corso dell’interrogatorio, prende il fucile e fa fuoco contro il militare che la stava interrogando.
Per il Pakistan le accuse contro Aafia, che definisce gli ebrei «traditori, crudeli e ingrati», che ha licenziato un paio di legali perché di origine ebraica e che rifiuta di essere considerata incapace di intendere e di volere come vorrebbero i suoi avvocati, sono fasulle e fabbricate. E tutti i maggiori politici, Imran Khan in testa, hanno più volte promesso di riportarla a casa. Per le organizzazioni jihadiste la liberazione di sorella Aafia è una causa di primaria importanza. Nel corso degli anni, 57 persone sono state ammazzate nel nome di «Lady Al Qaida», la «martire vivente» simbolo della jihad. E il numero, a quanto pare, è destinato ad aumentare.
Chi è Lady Al Qaida
Detenuta in un carcere texano, Aafia Siddiqui in Pakistan è considerata una martire della jihad
/ 24.01.2022
di Francesca Marino
di Francesca Marino