Che cosa ne sarà di Twitter?

Con l’esperto di media Gabriele Balbi parliamo di Musk e del cambiamento che sta investendo il mondo dei social
/ 05.12.2022
di Romina Borla

L’uragano Elon Musk – come noto – ha travolto Twitter, social network nato nel 2006 per pubblicare contenuti con 140 caratteri (adesso 280) visibili da tutti gli utenti. Dopo l’acquisto per 44 miliardi di dollari finalizzato il 28 ottobre scorso, infatti, il nuovo Ceo ha licenziato in massa e accettato dimissioni, chiuso sedi – quella di Bruxelles – riammesso profili che usavano il social per diffondere messaggi di odio e violenza, come Donald Trump a Kanye West. Ora ha dichiarato guerra ad Apple che taglia la pubblicità su Twitter e che – secondo il miliardario – minaccia di bloccare il social sull’app store. Come valutare le turbolenti mosse del fondatore di Tesla e SpaceX? «Mi sembra un grande caos», afferma Gabriele Balbi, professore di Media studies all’USI e vicedirettore dell’Istituto di media e giornalismo. «Vedo una certa difficoltà a comprendere i meccanismi elementari con cui il social funzionava e un volerli sovvertire nel nome della libertà di parola. Resta da capire l’interesse di Musk in questa operazione: non credo sia solo il far parlare di sé o il sentirsi potente per avere in mano un social medium. Bisogna da un lato indagare la psicologia del personaggio e, dall’altro, cercare di capire che tipo di futuro abbia in mente per Twitter e per i social. Mi spiego: è ancora sostenibile l’idea di usare piattaforme social in maniera gratuita? Fino ad oggi è stato così: paghiamo con i nostri dati, in un modello di “capitalismo della sorveglianza” in cui le corporation digitali rivendono a inserzionisti pubblicitari le nostre informazioni e i nostri gusti. Twitter non ha ancora trovato una via alternativa. Adesso, per esempio, l’idea di far pagare la spunta blu associata al nome di un profilo (la quale certifica la verifica dell’identità della persona che lo possiede) è il tentativo di cercare un modello di business. Con ogni probabilità siamo alla vigilia di un cambiamento importante, da cui emergeranno i nuovi social o qualcosa di diverso».

Qual è il ruolo di Twitter nel mondo dei social?

Ora Twitter conta il numero di utenti più elevato della sua storia, nonostante tutto. È sempre stato un social sui generis rispetto ad altri. Anzitutto ha sempre avuto meno utenti, più di nicchia e in un certo modo intellettualmente impegnati. Twitter è stato fino a oggi il luogo in cui politici, giornalisti e accademici hanno fatto opinione. La ricerca ha inoltre dimostrato che le Twitter revolutions degli anni 2011-2012 (Tunisia, Egitto ecc.) non avevano poi molto a che fare con Twitter, dal momento che solo una percentuale minima della popolazione se ne serviva in quei contesti geografici e in quel momento storico. Ma di sicuro, per la conformazione degli utenti spiegata prima, è stato un social in grado di creare opinione, basti pensare a quanto i tweet politici siano poi stati ripresi dai media, giornali e tv. Inoltre, sempre in ottica di comunicazione politica, Twitter ha incarnato la logica della disintermediazione: sembra infatti che si possano raggiungere direttamente i politici, discutere con loro, senza intermediari. Anche questo si è dimostrato un’illusione, la mediazione della piattaforma e degli uffici stampa dei politici è ben presente.

Quali social stanno emergendo?

Tik Tok è il fenomeno degli ultimissimi anni, è l’app più scaricata del 2021 e molte altre piattaforme come Instagram si sono tiktokizzate, cioè somigliano sempre più a Tik Tok. Sono piattaforme diverse da Twitter, in cui storicamente la componente testuale è stata più importante di quella visiva (nonostante i meme, che sono un linguaggio abbastanza caratteristico di Twitter). Nel prossimo futuro dobbiamo attenderci una virata visiva-visuale di Twitter? Vedremo, qualche segnale pare già esserci.

Elon Musk, Mark Zuckerberg, Andy Jassy ecc. possono dettare legge sul Web, censurare oppure amplificare messaggi che circolano a livello planetario. Non esiste un’autorità super partes che possa intervenire nei contenziosi. Da questo punto di vista qualche passo in avanti è stato fatto?

Le piattaforme sono emerse e cresciute in situazioni di quasi completa deregolamentazione. Anzi, proprio il fatto che non ci fossero regole ha favorito la formazione di posizioni dominanti o veri e propri oligopoli globali. Le regole che si sono storicamente applicate alla stampa, anche da un punto di vista deontologico, non sono state applicate alla Rete con la stessa rigidità. Detto ciò, la concentrazione proprietaria delle aziende di comunicazione non riguarda solo le aziende del web, ma anche in altri settori tradizionali come le telecomunicazioni, il broadcasting e l’informazione. L’Istituto di media e giornalismo dell’USI è partner di un progetto globale proprio sulla concentrazione dei media e delle piattaforme digitali, con 40 università coinvolte in altrettanti Paesi. Dalla ricerca emerge che ci sono altri oligopoli globali. Chi interviene? Esistono regolamentazioni anti-trust a livello nazionale, che in genere vietano di possedere un tot di quote in uno stesso mercato per un’unica azienda. A livello internazionale il controllo è molto complesso, ma per esempio l’Ue ha fatto notevoli passi avanti per imporre alle Big Tech di pagare tasse nei vari Paesi, cosa che fino a questo momento sono state spesso recalcitranti a fare. In varie reltà si è anche discusso della possibilità che siano le stesse piattaforme a contrastare la proliferazione di fake news attraverso i loro canali (ma con meno risultati). Insomma, si va verso un universo in cui le piattaforme saranno più regolate e questo può costituire un problema per le piattaforme stesse, abituate ad agire a livello globale e senza vincoli.

Ora le più importanti aziende del digitale (Apple, Microsoft, Google, Amazon, Meta, Twitter) sono in crisi. Perché?

Dal 2022 il Nasdaq (l’indice della Borsa americana che si concentra sulle società tecnologiche) ha perso circa il 30% del proprio valore; gran parte delle aziende citate ha tagliato posti di lavoro; varie monete elettroniche sono crollate. Sono solo alcuni esempi di quello che potrebbe essere, ed è stato da più parti descritto, come lo scoppio della seconda bolla del digitale. La prima scoppiò tra il 2001 e 2002, quando i titoli legati a Internet persero gran parte del proprio valore in pochi mesi. Questo condizionò lo sviluppo del digitale negli anni a seguire; varie aziende sparirono o fallirono. Siamo alla vigilia di una nuova bolla? Viviamo tempi differenti. All’inizio degli anni Duemila mancavano clienti disposti a pagare con carta di credito e in generale le aziende legate al digitale era giovani e poco stabilizzate. Oggi siamo in una situazione macrosistemica unica: è appena finita una pandemia globale (che però ha aiutato il comparto digitale, anzi forse l’ha fatto gonfiare eccessivamente); abbiamo attraversato una crisi delle materie prime (e in particolare dei semiconduttori) che hanno coinvolto molti comparti e quello digitale nello specifico; una guerra inattesa in Europa ha comportato l’aumento incontrollato dei costi nel mercato dell’energia. Si tratta, dicevamo, di due periodi storici diversi. Ma c’è anche una similitudine: in particolare le piattaforme sociali non hanno sviluppato un modello di business stabile e duraturo. Come detto, l’idea migliore è stata quella del «capitalismo della sorveglianza», che però ha funzionato solo in parte perché gli utenti hanno continuato ad acquistare in autonomia oppure in alcuni casi si sono comportati in maniera poco remunerativa per le aziende. Ad esempio, Amazon ha recentemente tagliato nel suo comparto Echo (l’assistente vocale) perché la maggior parte dei possessori, invece di ordinare prodotti sulla piattaforma, interagiscono chiedendo l’ora o le previsioni del tempo. Informazioni non monetizzabili per l’azienda.

Quale futuro ci attende?

Come osservavo prima, potremmo essere alla vigilia di un cambiamento sostanziale nelle piattaforme social, forse anche nelle nostre pratiche quotidiane d’uso, che per molti giovani cominciano ad essere faticose, eccessive. I social si sono già modificati profondamente e da reti per comunicare tra persone sono diventati sempre di più strumenti per guardare video, fruire contenuti. Resta da capire se e come si troverà un modello di business stabile.