Cinquanta anni fa ci abbiamo messo un piede sopra per la prima volta. Dopo tre anni l’abbiamo abbandonata dicendole arrivederci e non addio, ma è un arrivederci che dura da quarantasette anni, quindi molto più lungo del previsto. In realtà di previsioni a quel tempo non se ne fecero: si trattò piuttosto di una speranza, quella di tornare presto sulla Luna, suffragata dall’apparente velocità con la quale gli americani l’avevano conquistata. Sembrava tutto facile, anche se non lo era stato affatto. Il programma Apollo che portò l’uomo sulla Luna fu interrotto perché costava troppo e perché si erano affievolite le motivazioni politiche che lo avevano fatto nascere.
Gli Stati Uniti d’America avevano battuto sul tempo l’antagonista Unione Sovietica, avevano dimostrato di essersi ripresa la vera o presunta supremazia nello Spazio e cercavano di uscire dalla cosiddetta Guerra fredda. In più avevano altri problemi interni con guerre e discriminazioni razziali. Avevano una società a cui pensare, e quella stessa società sembrò accettare senza difficoltà lo stop temporaneo. Lo stesso Eugene Cernan, il comandante di Apollo 17, che nel dicembre 1972 fu l’ultimo uomo ad abbandonare il suolo lunare, dichiarò: «Credo che il programma Apollo si sia concluso al momento giusto. Avevamo imparato molto, avevamo già tanto su cui riflettere». Ma tutti sapevano che prima o poi qualche politico avrebbe rilanciato il sogno lunare o qualche altro programma ancora più ambizioso.
Infatti nel 1989 il presidente George Bush propose il ritorno sulla Luna e il viaggio su Marte, ma il Congresso rifiutò di accreditare una ventina di miliardi di dollari per circa vent’anni e rifiutò il finanziamento. Tuttavia il discorso colonizzazione di Marte stava facendosi strada. Per arrivarci sarebbe stato necessario anzitutto imparare a vivere nello spazio e quindi si lanciarono le stazioni orbitanti. La prestigiosa Mir, dell’Unione Sovietica, era già in funzione e tre anni dopo si firmarono gli accordi per il programma ISS, la stazione spaziale internazionale, fortemente voluta dagli americani e che avrebbe accolto tra gli altri anche l’Agenzia spaziale europea, di cui fa parte la Svizzera. La ISS è tutt’ora in orbita.
Per preparare il viaggio dell’uomo su Marte si sono mandati in avanscoperta dei robot, che stanno percorrendo varie zone del pianeta, e dei satelliti, che lo stanno osservando accuratamente dall’orbita marziana. In questo lungo discorso spaziale si è inserita anche la Cina, che nel 2003 lanciò in orbita terrestre il suo primo «taikonauta», dimostrando di avere la tecnologia per confermarsi la terza potenza mondiale in questo tipo di operazioni. In quell’occasione Pechino annunciò anche l’intenzione di portare uomini sulla Luna, proprio perché sembrava che gli Stati Uniti stessero puntando solo su Marte. L’allora amministratore della NASA Sean O’Keefe, che incontrai con altri giornalisti proprio in quei giorni, ci disse di essere felice del successo cinese, ma fu molto evasivo sulle possibilità di collaborazione, e, guarda caso, negli Usa riprese quota l’idea di un ritorno sulla Luna, in un clima di competizione dal sapore antico.
Oggi, mezzo secolo dopo il primo allunaggio, la Luna è tornata alla ribalta. Tutti vogliono andarci e la Cina è appena riuscita nell’inedita impresa dell’allunaggio di un robot sulla sua faccia nascosta, in un punto fra i più interessanti di tutta la superficie perché è nelle vicinanze del polo sud, dove precedenti missioni hanno rivelato la presenza di ghiaccio d’acqua in superficie. Qualcuno vi ha già ipotizzato la costruzione di una eventuale prima base lunare. A dare rilievo allo sbarco cinese c’è soprattutto l’aspetto tecnologico che ha comportato, tra l’altro, l’immissione in orbita lunare di un satellite che fa da ponte radio fra il lander nascosto alla nostra vista e i ricevitori terrestri. Sono arrivate anche nitide immagini della località. Proprio la conoscenza tecnologica è il valore aggiunto figlio delle missioni lunari di 50 anni fa. Possiamo concludere che siamo stati coraggiosi e forse incoscienti, ma abbiamo ispirato generazioni a fare cose straordinarie.
Non è la roccia portata dalla Luna che ha cambiato la nostra vita, ma è il telefonino che avete in tasca, è il navigatore che con l’aiuto dei satelliti ci porta dove vogliamo, è la possibilità di prevedere lo sviluppo di alcuni cataclismi climatici: stiamo sfruttando tante tecnologie derivate dall’esplorazione spaziale. Pensando a cosa possiamo farcene ora della Luna, il successo della cinese Chang’e-4 ci riporta alle politiche spaziali e ai rapporti internazionali nel loro complesso.
Lo spazio da tempo non è più appannaggio di sole due nazioni: l’Europa, l’India, il Giappone e molti altri paesi hanno politiche spaziali. Tutti sanno che la riconquista umana della Luna, e ancora di più, la conquista di Marte, saranno frutto di un’opera congiunta e dell’impegno tecnologico di più nazioni. Anche negli Stati Uniti, seppur siano percorsi da una ventata isolazionista, c’è questa consapevolezza. Nel 2011 il Congresso americano impedì alla NASA l’avvio di qualunque tipo di collaborazione con la Cina in campo spaziale. Era il momento nel quale, finiti i voli Shuttle, gli Usa dovevano appoggiarsi esclusivamente alla Russia per portare equipaggi sulla Stazione spaziale e forse si stavano cercando delle alternative. La politica inevitabilmente si intrecciava coi discorsi puramente tecnici.
Oggi i nuovi contendenti fanno la voce grossa pubblicamente, ma non sappiamo cosa avvenga dietro le quinte. Cina a parte parliamo degli altri. L’India per celebrare il 75esimo anniversario dell’indipendenza del Paese nel 2022 conta di lanciare un uomo e una donna nello spazio su un proprio veicolo. Con una sua sonda aveva trovato acqua sulla Luna, ora ne sta ultimando una nuova, che partirà presto. La Russia, forte del grande passato ereditato dall’Unione sovietica, non accetta il ruolo di partner di minoranza tra Usa e Cina e ha rilanciato e intensificato il suo programma lunare. L’Agenzia spaziale europea sta sostenendo sul piano tecnico tutte le altre agenzie spaziali nei loro programmi lunari.
Anche il Giappone sogna la Luna. Nel 2007 vi aveva mandato una sonda e adesso sta sviluppando un sistema per l’atterraggio preciso, a beneficio proprio e degli altri. La Corea del Sud vuole entrare nel giro e sta mettendo capitali a disposizione delle nuove compagnie private americane impegnate nello spazio. Con le stesse compagnie ha preso contatto perfino Israele, proprio in chiave Luna. Che dire? Luna, eccoci di nuovo.