Nelle ultime ore del voto di domenica 31 ottobre ci arrivavano messaggi da amici brasiliani: Bolsonaro stava cercando di ribaltare il risultato giocando d’azzardo e usando tutti i mezzi illegali a sua disposizione. Dalle fake news diffuse da mesi dal suo ufficio elettorale – che dipingevano l’avversario del Partito dos trabalhadores (Pt) come comunista e satanista – agli abusi di potere delle forze dell’ordine, come quelli della polizia stradale federale intervenuta con blitz sugli autobus diretti verso i seggi, per non parlare della violenza scatenata in diversi Stati dai bolsonaristi.
«Nel nord-est del Paese, dove Lula va molto bene, la polizia sta bloccando le strade rendendo difficile l’accesso al voto», scriveva da Boa Vista in un messaggio WhatsApp Carlo Zaquini, missionario e storico, esperto della questione indigena, che da mezzo secolo ha abbracciato la causa del popolo Yanomami. «Ci sono reazioni anche del Superiore tribunale elettorale per fermare la chiara azione di boicottaggio». Però alla fine Luiz Ignacio Lula Da Silva, dato in vantaggio da mesi nei sondaggi, ha vinto il ballottaggio ed è stato eletto presidente del Brasile per la terza volta, seppure di misura, battendo Jair Bolsonaro e ottenendo il 50,83 per cento dei voti contro il 49,17 per cento del suo avversario.
La prima buona notizia dopo la vittoria di Lula arriva dalla parte opposta del globo, dalla fredda Norvegia, una nazione da sempre molto sensibile alle questioni ambientali. Non appena i voti sono stati conteggiati, il ministro del clima e dell’ambiente Espen Barth Eide ha annunciato che la cooperazione con il Brasile nella foresta pluviale, interrotta durante il mandato Bolsonaro, riprenderà dopo che l’ex presidente socialista ha vinto le elezioni. D’altronde Lula nel suo discorso della vittoria è stato chiaro: «Il Brasile e il pianeta hanno bisogno di una Amazzonia viva». E ha promesso in primo luogo di azzerare la deforestazione che durante il Governo del «Trump dei Tropici» è aumentata del 75 per cento, un’area di 24,1 mila chilometri quadrati spazzata via dai faccendieri dell’agrobusiness, e in secondo luogo di istituire un Ministero per gli affari indigeni per proteggere le loro terre dalle attività minerarie o di taglio del legno. Un altro impegno preso dall’ex elettricista e sindacalista leader del Pt è di riattivare l’attività della Funai (Fondazione nazionale dell’indio) praticamente smantellata dal suo predecessore. I primi a capire l’importanza di queste elezioni per il destino del polmone verde del mondo sono stati i suoi popoli custodi, i rappresentanti delle tribù indigene raddoppiati nelle liste rispetto alle ultime presidenziali, un atto di autodifesa, tanto che entreranno nel Parlamento federale Sônia Guajajara e Célia Xakriabá che militano entrambe per il Partito socialismo e libertà (Psol), la sinistra radicale. Sono le prime indigene della storia a essere elette negli Stati di San Paolo e Minais Gerais.
Anche Vanda Witoto, che abbiamo seguito al primo turno elettorale nella sua campagna nello Stato di Amazonas – campagna incentrata su bioma, diritti delle donne e situazione dei popoli indigeni – che non è stata eletta pur ricevendo un ampio consenso, coglie il senso di questa vittoria straordinaria e problematica insieme: «Abbiamo battuto il fascismo e l’amore ha vinto. La democrazia ha prevalso e la speranza scalda il cuore per un futuro di grandi sfide». Infermiera, viene dalla periferia della città, dal Parque das tribos, una terra occupata dove vivono 3000 persone di 35 etnie diverse, tra cui Apurinã, Baré, Mura, Kokama, Tikuna, Miranha, Tukano, che parlano 20 lingue, dove si è fatta conoscere durante la pandemia salvando molte vite, quando è diventata un simbolo della lotta al Covid-19 e prima indigena a ricevere il vaccino Coronavac.
«La vittoria di Lula alle elezioni presidenziali brasiliane è un momento cruciale per i popoli indigeni e le loro terre», sostiene Survival International, movimento internazionale per i diritti dei nativi. «Negli ultimi 4 anni i popoli indigeni del Brasile hanno dovuto affrontare il peggior Governo anti-nativi dai tempi della dittatura militare. Lula ha promesso che ribalterà la situazione e che garantirà la protezione dei loro territori, mettendo così fine alla guerra scatenata contro di essi dal Governo Bolsonaro. Lula si è impegnato a intraprendere azioni concrete per contrastare i livelli di deforestazione senza precedenti e l’impennata di omicidi di indigeni e di attacchi alle loro comunità. Accogliamo con favore gli impegni presi da Lula ma non ci aspettiamo una svolta immediata».
Intanto, mentre i bolsonariani hanno organizzato oltre 200 blocchi stradali in tutto il Paese, soprattutto alimentati dai camionisti, categoria sociale fedele al leader dell’ultradestra Jair Bolsonaro, quest’ultimo fatica a riconoscere la sconfitta e in un suo criptico discorso parla di «ingiustizia», legittima le proteste ma autorizza la transizione. Questo è il nodo che si dovrà sciogliere nei prossimi mesi, capire se il leader dell’ultradestra stia puntando sul caos o, invece, su una sorta di «golpe bianco», usando la forza che ha conquistato in Parlamento, dove Lula non può contare su una maggioranza stabile. Invece il neoeletto presidente parla al Paese con speranza: «Affrontare con forza il razzismo, l’intolleranza, la discriminazione, affinché bianchi, neri e indigeni abbiano gli stessi diritti e le stesse opportunità. A nessuno interessa vivere in una famiglia piena di discordie. È giunto il momento di unire la famiglia divisa dalla diffusione di odio».
Don Luiz Ceppi, religioso cattolico che vive nella regione dell’Acre, segnata dall’esperienza politica dei seringueiros (operai che estraggono il lattice per la fabbricazione della gomma), compagno di lotte dell’attivista Chico Mendes, è lapidario: «Siamo riusciti a togliere di mezzo chi voleva distruggere l’Amazzonia»; «all’inizio del suo mandato ha liberalizzato l’uso delle armi, venti milioni di famiglie ne hanno una in casa; ha assunto 12’000 militari nella macchina statale». Secondo lui Lula può farcela: «La classe colta, non necessariamente di sinistra, è con lui, anche i settori più importanti dell’economia con i quali ha riattivato un rapporto. Ho fiducia nella sua abilità e pazienza, con Bolsonaro il Brasile è precipitato. Ci sono 40 milioni di famiglie che non hanno da mangiare. Siamo i più grandi esportatori di bovini, petrolio e soia ma i poveri aumentano... Non c’è futuro senza sogni. Bisogna scoprire nuovi cammini».