Il Consiglio federale ha licenziato a fine novembre l’atteso messaggio sulla riforma della previdenza professionale. In sostanza ha sposato la tesi dell’accordo di massima concluso fra datori di lavoro e sindacati nella speranza di ottenere la tanto attesa maggioranza almeno a livello delle Camere federali. Ne avevamo scritto in un articolo («Azione» 19.08.2019) in cui citavamo alcuni difetti importanti, tra cui quello evidenziato dall’Unione svizzera arti e mestieri che non vuole un miscuglio tra sistema di distribuzione (quello dell’AVS) e sistema di capitalizzazione (quello delle casse pensioni).
Altri punti di disaccordo potevano essere visti nella riduzione del salario coordinato (da 24’885 franchi a 12’443 franchi) e, quindi, nelle proposte di compensazione per la generazione di mezzo, nonché nell’aumento dello 0,5% del prelievo sui salari. Per finire, il costo di questa operazione avrebbe comportato oltre tre miliardi di franchi, contro meno di due miliardi per le altre proposte in campo. La proposta del Consiglio federale parte dal presupposto che il livello delle rendite attuali deve essere mantenuto. Cosa che può essere realizzata per la maggior parte delle rendite appunto prelevando lo 0,5% sui salari. Tuttavia, secondo il Consiglio federale, anche coloro che non avranno una diminuzione delle rendite avranno diritto a una compensazione.
Contestando altre proposte di riforma, il governo dice che nella maggior parte dei casi, rispetto alla situazione attuale, si avrebbero diminuzioni di rendite, in qualche caso anche superiori al 13%. La premessa per la complessa operazione è soprattutto la riduzione dal 6,8% al 6% del tasso minimo di conversione del capitale di vecchiaia in rendita, il mantenimento dell’età di pensionamento a 65 anni (però anche per le donne), l’età di entrata nella cassa pensione a 25 anni. Da tempo erano nate accese discussioni sul tasso di conversione, che in ogni caso, nella situazione finanziaria attuale, sarebbe dovuto scendere ben sotto il 6%. L’Associazione delle casse pensioni proponeva almeno il 5,8%, se non altro per attenuare il finanziamento delle rendite della parte obbligatoria prevista dalla legge con la parte non obbligatoria, per altro piuttosto corposa, di molte casse pensioni.
Un altro tema spesso messo in discussione è quello dell’età di pensionamento. Un aumento è suggerito anche dal solo aumento della speranza di vita della popolazione, che oggi è molto superiore a quella del momento della creazione dell’obbligatorietà della previdenza professionale (il famoso secondo pilastro) con annesso il problema dell’età di pensionamento delle donne. Rispetto ai modelli alternativi, quello del Consiglio federale garantisce pensioni più elevate, ma grazie all’aumento del prelievo sui salari. Per gli stipendi inferiori (fino a 40’000 franchi) la rendita è perfino superiore a quella attuale. Per i redditi superiori entro l’obbligo legale (85’000 franchi) le differenze fra i vari modelli sono minime. Globalmente la proposta governativa chiede un trasferimento maggiore di finanziamento dalle giovani generazioni verso le più anziane. Tutti i modelli in discussione riescono comunque a soddisfare il principio di una rendita di vecchiaia (Cassa pensione + AVS) del 60% dell’ultimo stipendio.
Il messaggio che sarà prossimamente discusso dalle Camere federali ripropone interamente quanto concordato dalle parti sociali. Questo non significa però che la proposta troverà la necessaria maggioranza in Parlamento o eventualmente nel popolo. Non è, infatti, il pericolo di un’opposizione a destra o a sinistra che possa comprometterne la riuscita. A destra, oltre l’opposizione dell’USAM, si spera sempre in una riforma di fondo con una diminuzione delle rendite nominali, un aumento dell’età di pensionamento e in una forte riduzione del tasso di conversione. A sinistra, in questo campo, gli scontenti di solito non mancano. Bisogna comunque ammettere che tutte le proposte presentate perseguono una soluzione di compromesso, per cui le differenze su cui discutere sono minime. Questo può significare che da tutte le parti si ammette la necessità di una revisione di tutto il sistema, ovviamente però senza rimettere in discussione il modello svizzero dei tre pilastri. Ma, sotto questo aspetto, un problema che oggi non trova soluzione è quello del trasferimento di oneri dalle vecchie verso le giovani generazioni.
In realtà, il sistema pensionistico professionale (secondo pilastro) prevede che ogni assicurato (obbligato) accumuli un proprio capitale di vecchiaia con il quale finanziare la propria rendita. Il principio rimane, ma, nella pratica, sono le finanze delle casse pensioni che non riescono a seguire l’evoluzione del numero e dell’età degli assicurati. Per il momento lo fanno ricorrendo alle riserve della parte non obbligatoria, ma questo non potrà durare in eterno.
Casse pensioni: compromesso raggiunto
Il Consiglio federale sposa l’accordo fra datori di lavoro e sindacati che però non risolve il problema del costo a carico delle giovani generazioni
/ 18.01.2021
di Ignazio Bonoli
di Ignazio Bonoli