Carlos Ghosn, da re Mida a criminale

Spy story - La rocambolesca fuga da Tokyo di uno dei manager più famosi del mondo
/ 20.01.2020
di Giulia Pompili

È una storia da film quella di Carlos Ghosn, il Re Mida del settore automobilistico internazionale finito nelle maglie della giustizia giapponese. Un intrigo tra i più evocativi della storia, per il mondo del business. E infatti le notizie si susseguono, si smentiscono, pettegolezzi e fonti si accavallano, ed è difficile pensare a una sola verità. Quel che è certo è che l’ex presidente e amministratore delegato del gruppo Renault-Nissan è riuscito a scappare dalla giustizia giapponese, che sin dal novembre del 2018 lo teneva in arresto per illeciti finanziari. E non è un caso se prima della fuga, secondo vari media, avrebbe avuto colloqui con Netflix, il colosso dello streaming, e almeno un incontro con il produttore cinematografico di Hollywood John Lesher: «Il più famoso cittadino libanese ha deciso di controllare fino in fondo la narrazione della propria vicenda», ha scritto «Le Monde».

Del resto l’intrigo è internazionale, coinvolge il mondo della finanza e la diplomazia, ed espone il sistema penale giapponese al giudizio mediatico come mai era accaduto fino a ora. L’avvocato giapponese di Ghosn, al momento della sua fuga, come condizione della libertà su cauzione costata 4,5 milioni di dollari, aveva in custodia i tre passaporti del milionario – quello francese, libanese e brasiliano. Ma probabilmente, per arrivareall’estero, Ghosn ha usato un quarto passaporto, cioè una copia di quello francese che gli era stato concesso di portare con sé come documento di riconoscimento, dopo che la Nissan lo aveva di fatto licenziato e il suo permesso di lavoro in Giappone era quindi decaduto. Secondo le autorità nipponiche il manager sarebbe uscito da una delle sue case di Tokyo come il grande illusionista Houdini: qualcuno all’inizio parlava della custodia di un contrabbasso come poetico nascondiglio, poi l’ingombrante strumento musicale si è trasformato nella scatola di un amplificatore.

Così, secondo le ricostruzioni, il fuggitivo ha eluso i controlli ed è riuscito addirittura a viaggiare indisturbato su uno Shinkansen, uno dei treni superveloci che collegano la capitale giapponese all’aeroporto di Osaka. Arrivato alla stazione ha preso un taxi e ha raggiunto una stanza d’hotel, dove ha aspettato l’arrivo di due jet privati turchi che lo hanno portato prima a Istanbul, e poi a Beirut, a casa, dov’è atterrato il 30 dicembre scorso. Durante la sua fuga Ghosn sarebbe stato accompagnato da almeno due persone, forse due americani che lavorano nella sicurezza privata e nella liberazione di ostaggi. Al suo arrivo nella capitale libanese l’ex capo di Nissan ha detto di essere scappato da una «giustizia arbitraria e discriminatoria», un commento che ha costretto il ministro della Giustizia giapponese Masako Mori a replicare, a distanza di giorni, alle parole del manager: «Ghosn ha lasciato il Paese illegalmente, e questa è una questione separata dalle accuse contro il sistema penale giapponese». Nel frattempo però, il Libano ha già fatto sapere che non collaborerà con l’Interpol e non ha nessuna intenzione di estradare un suocittadino.

Qualunque cosa abbia fatto davvero Ghosn durante i suoi anni alla guida di Nissan, ha scritto la Cnn, di sicuro sarà messo in ombra dalle accuse che uno dei manager più esposti mediaticamente al mondo ha mosso contro il sistema giudiziario giapponese. Perché come quasi tutti i sospettati in Giappone, al momento dell’arresto in carcere Ghosn è stato interrogato per giorni senza poter vedere un avvocato. Ha perso per ben due volte le cause per la libertà su cauzione, e sua moglie – un altro personaggio epico di questa vicenda – ha raccontato a vari giornali di come le autorità giudiziarie durante una delle prime perquisizioni nella sua casa di Tokyo la accompagnassero perfino al bagno, «traumatizzando» una intera famiglia che «non ha niente danascondere».

Non solo: nel paese nel Sol levante il 99 per cento dei processi penali finiscono con una condanna. Nel settore finanziario questo è ancora più evidente, soprattutto per i manager stranieri di aziende giapponesi che cadono nelle maglie della giustizia – come Michael Woodford, ex ceo di Olympus, che fu accusato nel 2011 di illeciti finanziari e lasciò la multinazionale – o finiscono per avere problemi con la «cultura aziendale» nipponica, e in qualche modo vengono allontanati. Solo l’8 per cento delle aziende giapponesi quotate in Borsa hanno stranieri nel loro board. Ed è anche per questi numeri che anche sui media giapponesi si parla sempre di più di un’operazione orchestrata dai vecchi manager di Nissan per bloccare la fusione con Renault, un’operazione che aveva il volto di Carlos Ghosn.

Comunque vada a finire la vicenda – è molto probabile che il Giappone andrà avanti con le sue investigazioni, sia sugli illeciti di cui è accusato Ghosn sia sulla violazione delle norme sulla libertà su cauzione – la sua spettacolare fuga sarà un altro tassello da aggiungere al profilo di un personaggio che ha cambiato il business, soprattutto quello giapponese. C’è stato un momento in cui Carlos Ghosn a Tokyo era considerato il Re Mida del business. Nel 2011 gli dedicarono addirittura una serie a fumetti, La vera vita di Carlos Ghosn , un best seller in cui veniva raccontata la storia epica del salvataggio di Nissan, il fiore all’occhiello dell’industria automobilistica di Yokohama da anni impantanata nella stagnazione economica. Da Re Mida a criminale. La strada per la globalizzazione del business giapponese è ancora lunga.