L’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, detenuto dal 12 aprile nella sede della polizia federale di Curitiba con una condanna di secondo grado per corruzione e riciclaggio di denaro, è stato ufficialmente candidato dal Partito dei lavoratori (il Pt) alle presidenziali brasiliane di ottobre. Ed è ancora il favorito. Tutti i sondaggi gli attribuiscono quasi il doppio delle intenzioni di voto rispetto agli altri candidati. Al secondo posto nei sondaggi si mantiene Jaire Bolsonaro, un ex poliziotto di estrema destra che ha appena scelto come suo vice Hamilton Mourao, un generale in congedo noto per aver più volte auspicato il ritorno di una dittatura militare in Brasile.
Al primo turno, secondo le inchieste sulle intenzioni di voto, Lula supererebbe il 30%, seguito da Bolsonaro al 17%. Al terzo posto figura l’ecologista Marina Silva con il 13%, seguita dal centrista Ciro Gomes con l’8% e il socialdemocratico Geraldo Alckmin con il 6%. A rendere molto fluido lo scenario, ed è questo il principale problema di tutti i candidati, è il 50% degli elettori che si definisce «indeciso».
Il Pt ha scelto di presentare come vice per la presidenza Fernando Haddad, 55 anni, ministro dell’Istruzione dei governi Lula e poi sindaco di San Paolo. La candidatura di Haddad è stata proposta alla direzione del Pt dallo stesso Lula in una lettera inviata dalla cella, ennesima dimostrazione che l’ex presidente, da carcerato, continua non solo ad essere il simbolo, ma anche l’effettivo capo del partito da lui fondato.
Come fa un cittadino carcerato con una condanna confermata in appello a concorrere alle elezioni? A scienza certa non lo sa nessuno in Brasile. E su questa incertezza Lula gioca la sua partita. Le leggi esistenti non sono di univoca interpretazione in proposito e non ci sono precedenti storici ai quali rifarsi.
La guerra di carte bollate è aperta, si annuncia drammatica e spettacolare. Si combatterà nei tribunali, ma è una guerra tutta politica e dall’esito imprevedibile. Perché se vietare la candidatura a un carcerato può sembrare plausibile, meno ovvio può risultare negare al candidato universalmente noto come favorito la possibilità di concorrere alle elezioni a causa di una condanna giudiziariamente molto controversa e in un processo non ancora estinto (manca il terzo grado di giudizio, che spetta al Tribunale supremo federale).
Non era legalmente possibile vietare a Lula in via preventiva la candidatura. Il Tribunale supremo elettorale, al quale spetta decidere se la candidatura è ammissibile o no, può pronunciarsi solo una volta che la candidatura è stata registrata. E il Pt ha scelto l’ultimo giorno utile per farlo, il 15 di agosto.
L’ironia della sorte vuole che sia una legge voluta dal governo Lula nel 2010 ad ostruire a Lula la strada verso la rielezione. Si tratta della Lei ficha limpa, (la legge fedina pulita) che vieta ai condannati da un organo collegiale (ed è il caso di Lula, condannato in secondo grado dalla Corte di Porto Alegre formata da tre giudici) per gli otto anni successivi alla condanna di candidarsi a incarichi pubblici anche in assenza di una sentenza definitiva.
La campagna del Pt, sostenuta dai principali movimenti sociali del Brasile, fa circolare ovunque lo slogan «Una elezione senza Lula è una frode». Impossibile prevedere la reazione politica a una esclusione del candidato favorito dalle elezioni per decisione giudiziaria dei milioni di militanti lulisti, ma anche dei semplici simpatizzanti o dei molti cittadini normalmente contrari al Pt ma che in questo frangente storico non vedono altra possibilità che Lula per uscire dalla crisi politica.
Già molte polemiche ha suscitato la settimana scorsa l’esclusione, per decisione giudiziaria, dell’ex presidente in teleconferenza al primo confronto tv tra candidati.
È molto probabile che il Tribunale supremo elettorale dichiari non ammissibile la candidatura di Lula. Qualora il Tribunale superiore elettorale lo dichiarasse ineleggibile, spetterebbe al Tribunale supremo federale dare la parola finale. Ma su questo punto i giuristi si stanno accapigliando da mesi. Nel caso di una incontrovertibile proibizione della candidatura, il partito di Lula avrebbe allora 20 giorni di tempo giorni per sostituire il candidato, probabilmente lo stesso Haddad in coppia con una vice del partito comunista brasiliano .
Se succedesse invece che il Tribunale superiore elettorale non emette nessun parere fino al giorno dell’elezione, scenario improbabile ma non impossibile, si dovrebbe aspettare il dicembre del 2018, cioè la fine naturale del mandato del presidente in carica, Michel Temer. Solo allora potrebbe arrivare la sentenza definitiva. Se dichiarato ineleggibile dopo essere stato eletto, Lula perderebbe l’eventuale mandato conquistato e il presidente della Camera assumerebbe ad interim le sue funzioni fino alla convocazione di nuove elezioni.
Considerando l’alta conflittualità politica del Brasile attuale, le tensioni sociali e la crisi economica, una prospettiva simile sarebbe insostenibile.