Ogni volta che cambiano le rotte commerciali del mondo cambia il mondo. Da Cristoforo Colombo e dalle scoperte dei navigatori portoghesi e spagnoli, genovesi e veneziani, mezzo millennio fa, questa è la legge bronzea che regola la geopolitica planetaria. Varrà anche domani o dopodomani, quando le rotte artiche potrebbero finalmente aprirsi al grande traffico dei portacontainer? Ipotesi più che plausibile.
Tutto comincia dall’ambiente. I ghiacci artici si stanno sciogliendo a ritmo notevole. L’ultimo rapporto della National Oceanic and Atmospheric Administration, branca del dipartimento del Commercio statunitense, stabilisce che nel 2018 in Artico si sono registrate le seconde temperature atmosferiche mai misurate nella storia; la seconda estensione minima delle superfici ghiacciate; il più mite inverno nel Mare di Bering; e la più precoce fioritura del plancton causato dalla liquefazione del ghiaccio nel Mare di Bering. Questo significa fondamentali cambiamenti nell’habitat umano e animale. Dal punto di vista strategico e commerciale, rappresenta un ulteriore segnale sulla prossima agibilità del Passaggio a nord-est (Rotta settentrionale nella dizione russa) che potrebbe tagliare di un buon terzo i tempi di percorso, e quindi i costi, dei traffici fra Cina e Stati Uniti.
Questo spiega, fra l’altro, l’improvviso interesse della Repubblica Popolare Cinese per gli spazi artici. Di recente, Xi Jinping ha voluto annettere una cosiddetta futuribile «via polare della seta» al vasto bouquet delle nuove vie della seta fra Europa e Asia, destinate a inaugurare una globalizzazione con gli occhi a mandorla entro la metà del secolo. La Cina si afferma «paese vicino all’Artico» per poter avvicinare il rango dei protagonisti della geopolitica settentrionale: Stati Uniti, Russia e, più distaccate, Danimarca (via Groenlandia, peraltro sempre più autonoma e sotto l’ombrello militare americano), Norvegia e Canada.
La posta in gioco è alta e rende golosi: in ballo sono formidabili ricchezze minerarie, promettenti giacimenti di idrocarburi (anche se a profondità oggi inattingibili), pesci e altra fauna. Ciò spiega anche lo speciale interesse della comunità scientifica dei paesi artici (e meno artici), che dedica allo studio dell’ambiente circumpolare un’attenzione certamente non neutra. Anche per questo i dati distribuiti ai media dagli scienziati, specie dai climatologi, vanno presi con un grano di sale.
Quanto alla Russia, è lo Stato più artico di tutti. Il suo affaccio sull’Oceano Artico è enorme, correndo lungo tutta la costa siberiana. Ciò consente a Mosca di rivendicare vastissimi spazi marittimi e di controllare la Rotta settentrionale. In parole povere, chiunque vorrà utilizzare – e già alcuni l’utilizzano, nei mesi meno gelidi – la più strategica delle rotte artiche dovrà pagar pegno al Cremlino. Ad ogni buon conto, Putin ha ordinato di rafforzare e ammodernare il suo apparato militare nella costa Nord, imperniato sulla strategica Penisola di Kola, a ridosso del confine norvegese, dunque della «nuova cortina di ferro».
Chi resta per ora molto indietro sono gli Stati Uniti. Washington non ha mai mostrato una particolare attenzione per l’Artico, salvo quando acquistò l’Alaska russa, nel 1867, destinata a diventare uno Stato federato nel 1959. Ma l’Alaska resta una sorta di exclave, priva di collegamenti terrestri diretti con la metropoli statunitense. Per avere una misura del disinteresse degli Usa per il Grande Nord basti considerare che essi dispongono solo di un paio di rompighiaccio, di cui una quasi inutilizzabile, contro le oltre quaranta schierate dalla Russia.
La rivoluzione geopolitica delle rotte artiche non è però imminente. Ci vorrà tempo per attrezzare quei passaggi impervi al grande traffico transcontinentale, sempre se il riscaldamento climatico continuerà a manifestarsi ai ritmi correnti – e trascurando gli effetti micidiali che potrebbe avere globalmente, a partire dall’innalzamento del livello dei mari. Intanto, alcune compagnie commerciali hanno messo in cantiere nuove gigantesche navi con chiglia e strutture rinforzate, adatte a rischiare il passaggio fra i ghiacci artici, purché precedute da rompighiaccio.
La partita artica conferma che il tema del riscaldamento globale non è affatto privo di conseguenze geopolitiche, oltre che ambientali. Per questo anche le grandi potenze sono scese in campo. Insieme al clima, si sta riscaldando l’assetto strategico del Grande Nord.