Calpestata come l’erba quando gli elefanti combattono tra loro

Sarebbe in corso una nuova corsa all’Africa la cui posta in gioco non è più il possesso territoriale e nemmeno – o non solo – l’accaparramento delle materie prime
/ 08.08.2022
di Pietro Veronese

La rivista «Internazionale» ha messo in vendita nelle edicole italiane un bel volume intitolato «Viva l’indipendenza». Il libro, ricco di foto storiche e di testi, racconta, attraverso gli articoli della stampa mondiale dell’epoca, quella stagione irripetibile di speranze e di entusiasmi. Grandi nazioni dell’Africa e dell’Asia, dalla Nigeria all’Indonesia, reclamavano il loro posto nella storia dei popoli. Finiva il secolo del colonialismo, gli equilibri globali cambiavano, masse innumerevoli di esseri umani rivendicavano la propria libertà. Quasi giorno dopo giorno nuovi pennoni si innalzavano davanti al Palazzo delle Nazioni unite di New York, nuove bandiere sventolavano disegnando un mondo variopinto.

Da allora sono passati sessant’anni. La stagione delle grandi speranze è ricordata oggi come la stagione delle grandi illusioni. Subito la Guerra fredda costrinse i paesi di nuova indipendenza a una forzata scelta di campo. Il dominio economico e geopolitico sostituì quello politico-militare. Poi la Guerra fredda finì, gli equilibri globali tornarono in movimento, i regimi vassalli dell’Occidente e della sfera sovietica crollarono. La Cina irruppe sulla scena africana, in cerca di mercati e di materie prime. L’Africa si avviò verso un periodo di crescita e di relativa prosperità. Ma eccoci al 2022. Per l’ennesima volta l’Africa, secondo il vecchio proverbio, finisce calpestata come l’erba quando gli elefanti combattono tra loro.

All’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite è stata chiamata a votare una risoluzione di condanna (era lo scorso 2 marzo). La maggioranza è stata inequivocabile: 141 Paesi a favore su 193. Ma tra astenuti e deliberatamente assenti al momento del voto, ben 25 Paesi africani (più uno contrario), praticamente la metà, hanno rifiutato di unirsi al coro. Quel risultato è stato molto notato perché rivelava la riluttanza a schierarsi in un conflitto considerato da molte opinioni pubbliche e altrettanti governi del continente come uno scontro distante dalla geografia, dagli interessi e dalla partecipazione emotiva degli africani.

Tre mesi dopo il presidente di turno dell’Unione africana, il senegalese Macky Sall, ha dichiarato: «Non ci interessa il dibattito su chi abbia ragione e chi torto. Vogliamo solo accesso al grano e ai fertilizzanti». Con l’andare delle settimane era diventato evidente quel che già si sapeva, e cioè che i due paesi coinvolti nella guerra sono i due maggiori esportatori mondiali di cereali. Il blocco dei porti ucraini aveva ridotto drasticamente quel commercio. La vittima principale del blocco è l’Africa, peraltro già afflitta in questo 2022 da una devastante siccità e da rincari senza precedenti dei generi alimentari. Si è scoperto così che la guerra in Ucraina, apparentemente lontana, stava colpendo l’Africa molto più dell’Europa e prometteva di ridurre gran parte del continente alla fame.

Venerdì 22 luglio, grazie alla mediazione Onu, è stato raggiunto un accordo tra Russia e Ucraina. Navi con le stive colme di cereali hanno lentamente ricominciato a salpare dal porto di Odessa. La catastrofe è almeno in parte evitata. Nel frattempo, però, l’Africa è diventata il palcoscenico di un notevole traffico diplomatico da parte delle maggiori potenze mondiali. I ministri degli Esteri russo e americano si sono inseguiti da una capitale all’altra del continente – uno a fine luglio, l’altro a inizio agosto – entrambi rinnovando le promesse di sostegno e di partnership da parte dei rispettivi governi. Sia Russia che Stati Uniti hanno diramato inviti per due grandi vertici con i leader africani in programma nei prossimi mesi.

Nel frattempo la Cina non è stata a guardare. Rompendo con una tradizione almeno ventennale, che l’aveva sempre visto sottolineare la natura piuttosto commerciale che diplomatica delle relazioni con i suoi interlocutori africani, il governo di Pechino ha organizzato in giugno nella capitale etiopica Addis Abeba la Prima conferenza del Corno d’Africa per la pace, il buon governo e lo sviluppo. Erano rappresentati otto Paesi, Cina compresa (assente l’Eritrea). In tal modo la potenza asiatica si è assunta la responsabilità di operare per la soluzione dei numerosi conflitti e tensioni di questa delicatissima macro-regione africana.

L’unica voce europea in questo straordinario fervore d’interesse per l’Africa è stata quella del presidente francese Emmanuel Macron. Per quattro giorni a fine luglio Macron è stato in Camerun, Benin e Guinea-Bissau. La presenza politico-militare francese in Africa ha subito nei tempi recenti due significativi rovesci, in Repubblica Centrafricana e in Mali, a vantaggio della Russia. Altrove, come nello stesso Camerun, in Burkina Faso, in Niger il ruolo francese è messo in discussione. Lo scopo del presidente francese era dunque in primo luogo quello di puntellare gli interessi della sua nazione; ma egli ha avuto anche cura di parlare a nome dell’Europa nel contrastare la crescente presenza russa.

In un articolo dedicato all’iniziativa diplomatica del ministro degli Esteri russo Lavrov in Africa, Paolo Garimberti ha scritto su «la Repubblica» che essa è servita a lanciare due sfide: «La prima diretta a quell’Occidente collettivo, composto da Nato e Unione europea, che accusa la Russia per l’aggressione all’Ucraina e il blocco delle esportazioni del grano, che colpisce soprattutto i Paesi africani. […] La seconda, non dichiarata a differenza della prima, è verso la Cina, […] rivale della Russia nell’edificare una sfera di influenza nel continente africano». È un’analisi rivelatrice, perché come si vede, l’Africa non è considerata parte in gioco, ma solo terreno di scontro tra europei, russi, cinesi e americani. Alcuni commentatori, ed è difficile dar loro torto, vi vedono una nuova «corsa all’Africa», analoga a quella con cui le potenze europee si spartirono il continente negli ultimi decenni dell’Ottocento. La posta in gioco non è più il possesso territoriale, e nemmeno – o non solo – l’accaparramento delle materie prime, quanto l’affermazione del proprio controllo globale.

Difficile capire che ne pensa l’Africa. La migliore sintesi di un possibile punto di vista collettivo resta quella di Macky Sall: «Vogliamo accesso al grano e ai fertilizzanti». Il sostegno all’uno o l’altro dei contendenti nella guerra in Ucraina verrà eventualmente considerato un prezzo da pagare, non certo una scelta ideale. L’Africa al momento ha altre priorità: nutrire i suoi figli, una sfida più seria di tutte le altre.