Caccia al container

La pandemia continua a condizionare l’attività dei porti, soprattutto cinesi. Lunghi tempi di attesa e scarsità di container provocano non pochi problemi
/ 06.09.2021
di Marzio Minoli

Manca poco a Natale. Detta così, in un momento dove bermuda e infradito sono ancora tra l’abbigliamento abituale, questa frase potrebbe sembrare fuori luogo. Ma per chi ha un’azienda, i mesi che mancano al più grande evento consumistico dell’anno, non sono molti. Infatti, bisogna iniziare a preparare i prodotti che verranno messi sugli scaffali dei negozi, e il primo appuntamento, soprattutto negli Stati Uniti, è per il Black Friday, ovvero il venerdì dopo il Giorno del Ringraziamento che tradizionalmente dà il via alla stagione degli acquisti e che quest’anno sarà il 26 novembre. Una tradizione, a dire il vero, che da qualche anno ha preso piede anche in Europa, Svizzera compresa.

Molti dei prodotti che saranno in vendita, o anche solo le parti necessarie per produrli, arrivano dalla Cina via mare, di gran lunga il metodo più utilizzato per il trasporto di merci. Navi cariche di container che partono dai principali porti cinesi, destinazione Stati Uniti ed Europa in primis.

Ora qui nasce un problema, e non di poco conto. Ovvero mancano container da caricare su queste navi e questo crea quella che viene definita una crisi nella catena delle forniture. Un problema che negli ultimi diciotto mesi, caratterizzati dal Covid, è una costante sui tavoli di economisti e politici. E a soffrire della mancanza di materie prime o pezzi necessari alla produzione, non sono solo le singole aziende. A volte è tutto il settore produttivo di una nazione che paga le conseguenze di questo «collo di bottiglia» come viene definito tecnicamente.

Ad esempio, i dati tedeschi sulla produzione industriale di giugno hanno segnato, per il terzo mese consecutivo, un calo, e questo in gran parte dovuto alla mancanza di materie prime provenienti dalla Cina, indispensabili soprattutto per la potente industria automobilistica tedesca. E qui si pensa in particolar modo ai semiconduttori, essenziali per la parte elettronica delle automobili del giorno d’oggi.

Ma da dove nasce il problema? Il fatto è che i porti cinesi, attualmente, lavorano a ritmo ridotto in quanto la pandemia, che ciclicamente fa la sua apparizione in diverse zone del paese, impone la chiusura parziale dei terminali di attracco. In questo modo vengono rallentate tutte le operazioni di carico e scarico delle navi.
Solitamente il tempo di permanenza di una nave in un porto cinese è di 2-3 giorni, poi riparte. Oggi, a causa delle restrizioni dovute alla variante Delta in Cina, questo tempo è diventato di 7-8 giorni. E lo stesso si può dire per il porto di Los Angeles. Invece dei soliti 2 giorni ora ce ne vogliono 6. A questo si deve aggiungere che a dipendenza della provenienza della nave, come ad esempio dall’India, prima di entrare in porto, è richiesta una quarantena tra i 14 e i 28 giorni.

Ma non basta. Come si dice le disgrazie non vengono mai sole. Ecco allora che il 23 marzo la Ever Given, una nave battente bandiere panamense, ma di proprietà di una società giapponese, si incaglia nel canale di Suez, dal quale passa il 30% del traffico mondiale di merci via mare. La nave ha bloccato il canale per una settimana, creando ulteriori problemi alla catena di fornitura mondiale, visto che «in coda» per passare il canale c’erano 370 navi cariche di container.

Ora, per una legge elementare dell’economia, se vi è forte domanda e poca offerta, i prezzi salgono. E i container non fanno differenza. Come detto la domanda sta salendo, e di molto in vista della stagione dello shopping e l’offerta invece rimane scarsa.

Se nel mese di agosto del 2019 per inviare un container standard dalla Cina all’Europa o alla costa Occidentale degli Stati Uniti bastavano 2000 dollari, di questi tempi ce ne vogliono circa 14’000 per l’Europa e 17’000 per la Costa Ovest degli Stati Uniti. Peggio ancora se la merce invece deve andare verso New York, sulla Costa Est. In questo caso il prezzo arriva a 19’000 dollari. Dati che vengono forniti da Freightos, una delle maggiori aziende di logistica al mondo. E questi prezzi non sono i più alti. Solo qualche settimana fa, per un container spedito verso la Costa Est si sono pagati più di 20’000 dollari. Un record assoluto.

La situazione non è destinata a migliorare molto presto. Un porto di mare, delle dimensioni di quelli cinesi, ma anche altri sparsi per il mondo, non si apre e chiude velocemente. E riorganizzare arrivi e partenza non è cosa da poco. Come conseguenza, secondo gli analisti, problemi di fornitura di materie prime o anche di prodotti finiti, li avremo anche l’anno prossimo, mettendo in difficoltà la ripresa economica spinta anche da un controllo sempre maggiore della pandemia.

La domanda di container difficilmente verrà soddisfattae questo manterrà i costi alti. Come logica conseguenza, questi costi verranno poi riversati sui prodotti che acquisteremo prossimamente, e che inevitabilmente saranno più cari.