Bonino-Meloni: zia e sorella d’Italia

Le vestali – La prima combatte per le cause giuste la seconda per far rigare dritto
/ 19.02.2018
di Alfio Caruso

Emma Bonino è la zia delle cause giuste, Giorgia Meloni è la sorella d’Italia impegnata a far rigare dritto, lei così minuta, i rissosi fratelloni. Senza la Bonino, e il suo mentore Pannella, avremmo tanta inciviltà in più e tanti diritti in meno. Peccato, che la rispettino, la riempiano di elogi, a volte l’abbiano persino nominata ministro, ma non la votino. La Meloni è l’enfant prodige con il terrore che il trascorrere del tempo cancelli il prodige e lasci l’enfant, dunque eccola impegnata in prove muscolari, che non le appartengono, delle quali è la prima a pentirsi. L’ultimo esempio lo fornisce la rabbrividente polemica con Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino, responsabile, agli occhi della Meloni e dei settori para razzisti, di aver inserito fra le agevolazioni l’ingresso gratuito per le coppie arabe.

Greco è stato, addirittura, incolpato di discriminare gl’italiani: dall’entourage della Meloni è giunto l’avvertimento, alquanto mafiosetto o, se volete, ducesco, che in caso di vittoria della brancaleonesca aggregazione di centrodestra sarebbe stato cacciato. Un po’ eccessivo nell’Europa attuale, in un sistema parlamentare dove tutti fanno ossequio tre volte al giorno, prima e dopo i pasti, ai dettami della democrazia, del merito, della tolleranza. E Greco si è aggiudicato non per raccomandazione o nomina dall’alto, bensì per qualità di curriculum, dopo un regolare bando, il posto in questo Museo, per altro gestito da una fondazione privata e quindi non sottoposto alla tagliola dello spoil system, la scusa con quale hanno poi cercato di rimediare in Fratelli d’Italia.

Settantenne senza remore o posticci abbellimenti, sopravvissuta a un cancro, la voce arrochita dalle sigarette sue e da quelle che Pannella le fumava addosso, la Bonino è lo specchio cui la politica cerca disperatamente di sottrarsi. Incarna il rispetto delle regole e del buon senso; lei e ogni suo atto profumano di bucato; è così trasparente da far risplendere le opacità altrui; la rimpiangeremo il giorno in cui non ci sarà più, come sta succedendo con Pannella. Non a caso il suo partito, che già dal nome è un proclama, + Europa, difficilmente supererà la barriera del 3% per entrare in Parlamento. Unica italiana a essere inserita nel 2011 da «Newsweek» tra le centocinquanta donne che muovono il mondo, è molto più conosciuta e apprezzata al di là delle Alpi che al di qua. E fa persino tenerezza vederla girare per i mercatini nello sconsiderato tentativo di far prevalere le ragioni della convivenza su quelle dell’esclusione, della caccia al presunto diverso. Provenendo dall’esperienza radicale, non fa sconti, non promette 1500 euro a chi vorrà restarsene a casa alla stregua di un Di Maio qualsiasi, non annuncia improponibili tagli di tasse alla Berlusconi. Di conseguenza gl’italiani, che avrebbero votato l’immediata sfiducia al Churchill di lacrime e sangue, l’ascoltano, l’apprezzano e si rivolgono al primo imbonitore di passaggio.

La Meloni è il trionfo della coerenza. Aveva 15 anni quando si schierò con l’Italia della nostalgia, del buon tempo antico, della famiglia tradizionale, di Mussolini personaggio complesso da storicizzare, del no a tutto quanto le pareva in contrasto con il periodo della belle époque e non ha cambiato idea, benché viviamo nel 2018. La sua forza sono l’assoluto perbenismo e l’onestà intellettuale, che l’hanno spinta a seguire l’istinto prima ancora della ragione com’è capitato con la fondazione di Fratelli d’Italia. Nel 2011, incenerita Alleanza nazionale, rifiutò di accodarsi al neo movimento di Fini o alla confluenza nell’area berlusconiana. Puntò sulle viscere fasciste del Paese, naturalmente adattate alla bisogna dei tempi attuali, e ha vinto la scommessa: i sondaggi le attribuiscono il 5% e la quota potrebbe salire senza il fastidio degli urlatori di estrema destra annidati in Casa Pound.

La Bonino combatte con determinazione l’ennesima battaglia inutile in una Nazione, dove la presunta società civile procura l’orticaria – basta partecipare a un’assemblea di condominio –, il rancore domina e i presunti fautori del cambiamento hanno scoperto il brivido del salto nel vuoto con il M5S alle strette dipendenze del controverso proprietario di una piattaforma sul web. Lei ci mette la faccia, in cui ogni ruga racconta un impegno e più ancora una sconfitta, e l’anima di chi non vuole tradire il proprio passato. Alla fine, se le andrà bene, avrà salvato se stessa, molto più complicato che possa salvare la scombinata alleanza di centrosinistra, alla quale si è legata.

Se dipendesse dalla Meloni li rincorrerebbe con un mestolo, invece le tenaglie della legge elettorale la obbligano a sorridere e concordare con Berlusconi e Salvini, l’esatto contrario del suo mondo di valori. Le intemperanze verbali dei due l’hanno trasformata in una saggia mamma, da diciotto mesi c’è Ginevra, dispensatrice di buoni consigli, il cui accattivante sorriso è in grado di stemperare qualsiasi urticante giudizio. Su immigrati, sicurezza, biotestamento, unioni civili mostra la più profonda intransigenza, al contempo ha dichiarato: «Difenderemo i valori sui quali si fonda la Costituzione e che sono propri anche di chi ha combattuto il fascismo». Berlusconi, che usa molto più fard di lei, e Salvini hanno accolto con un sorriso la sua proposta di fare il premier di un governo moderato. L’esperienza, invece, insegna che Giorgia, metà sarda, metà siciliana con l’infanzia segnata dall’abbandono del padre, se inquadra un obiettivo prima o poi lo raggiunge.