Il cambio alla testa dell’economia, nonché dei trasporti, ambiente, energia, pone subito i nuovi responsabili di fronte a problemi difficili, ma urgenti. La loro soluzione, che deve essere condivisa, determinerà il futuro dei rapporti interni ed esterni della Svizzera.
Uno di questi, la legge sul CO2, ha incontrato forti resistenze in Consiglio Nazionale, tanto che la Camera non solo ha respinto la proposta di fissare anche per la Svizzera un limite massimo alle emissioni di CO2, ma per finire ha bocciato la legge, difesa con vigore per l’ultima volta da Doris Leuthard, proprio il giorno prima di recarsi in Polonia per la riunione dei responsabili dei vari paesi per l’applicazione dell’accordo di Parigi.
Partendo dal presupposto che il problema è globale, si è pensato che le misure da adottare in Svizzera sarebbero la classica goccia nel mare. La legge chiedeva concretamente di ridurre del 50% le emissioni di gas serra entro il 2030 rispetto al 1990. Ancora una volta, se tutti si son detti d’accordo sull’obiettivo, i contrasti sono nati sul modo per raggiungerlo. Così si è passati anche a una distribuzione delle responsabilità. I Cantoni sono competenti nel campo dell’edilizia (risparmio energetico). Nei trasporti, sì a una compensazione da parte degli importatori di prodotti fossili, ma limiti all’aumento delle tasse sui carburanti (8 centesimi sulla benzina), infine, riduzioni di emissioni soprattutto all’estero, mediante l’acquisto di certificati (vedi «Azione» del 25.11.18).
Altri due argomenti hanno ampiamente dominato la scena politica svizzera, prima ancora di giungere al messaggio del Consiglio federale alle Camere. Si tratta del patto dell’ONU sulle migrazioni e dell’accordo quadro con l’Europa. Sul trattato dell’ONU sulle migrazioni si è assistito a un lungo palleggiarsi delle responsabilità tra Governo e Parlamento, in modo che si è giunti al momento della firma senza la presenza della Svizzera. Simbolicamente era stato scelto il giorno del 70° anniversario della firma dei Diritti dell’uomo per l’atto formale di adozione del patto globale, sostenuto all’ONU da ben 193 paesi, tra cui la Svizzera. Sono però nate in seguito molte perplessità e grandi paesi con, in testa, gli Stati Uniti si sono defilati, seguiti da Israele e Australia, mentre l’UE si è spaccata. Italia e Svizzera vogliono invece una decisione parlamentare.
Per quanto concerne l’accordo-quadro con l’Europa, se n’è discusso per quasi cinque anni ed è stato causa di accesi negoziati tra Berna e Bruxelles e di conflitti interni.
Si tratta in sostanza di una base giuridica per un’applicazione più efficace e uniforme dei cinque accordi già esistenti e di futuri che regolano l’accesso al mercato unico. Una base giuridica che stabilisce il modo in cui la Svizzera deve riprendere il diritto europeo (soggetto, come tutti i diritti, a cambiamenti e modifiche), il campo d’applicazione, l’interpretazione delle leggi e la risoluzione delle divergenze.
I negoziati tra Svizzera e UE si sono conclusi il 23 novembre. Il 7 dicembre, il Consiglio federale ha reso pubblici i contenuti dell’accordo. Mancando il consenso con l’UE e all’interno del Consiglio federale stesso, il Governo non ha voluto parafare l’accordo, mettendolo in consultazione.
Oltre ai citati bilaterali, ci sono anche altri accordi, come ad esempio quello sull’energia elettrica, in discussione. La pietra d’inciampo è però politica: la ripresa del diritto europeo nell’ambito dell’accordo quadro istituzionale. In Svizzera però l’ultima parola spetta al Parlamento e al popolo (referendum). Per dirimere eventuali controversie, si può ricorrere a un comitato misto, la cui seconda istanza è un Tribunale arbitrale.
L’UE ha già accettato alcune eccezioni svizzere: per esempio per i camion (40 t, divieto di circolazione la notte e la domenica). Uno dei punti difficili da superare sarà la protezione dei salari. L’UE accetta il principio, ma chiede un’applicazione meno rigida.
Un altro punto che interessa l’economia è quello degli aiuti di Stato alle imprese, dalle partecipazioni statali, ai vantaggi fiscali o alle garanzie (per esempio dei Cantoni alle banche cantonali). In campo finanziario, la Svizzera ha interesse a chiarire la posizione in vari settori. L’UE, per accelerare l’accordo, ha posto un limite di tempo all’equivalenza per la borsa svizzera, limite prorogato a fine anno di sei mesi, entro i quali si dovrà trovare un compromesso per non mettere in gravi difficoltà la borsa svizzera. Il nuovo anno sarà certamente un anno di decisioni storiche, con esito forse incerto, ma con effetti sicuri sul futuro del paese.