Biden e Xi: così lontani, così vicini

L'ultimo saggio di Rampini racconta alcuni lati della Cina nascosta che l’élite occidentale ignora e la sfida tra due superpotenze che si studiano e si copiano a vicenda
/ 20.09.2021
di Romina Borla

«Questo libro è un viaggio nel grande paradosso di una sfida planetaria», scrive Federico Rampini nell’introduzione al suo nuovo saggio Fermare Pechino. Capire la Cina per salvare l’Occidente (Mondadori). La sfida tra due superpotenze – gli Stati uniti e la Cina – che «si studiano e si copiano a vicenda». Il volume inizia con una ironica botta e risposta tra Xi Jinping, presidente della Repubblica popolare, e il presidente americano Joe Biden. «Fermare Pechino?», domanda il primo. «Davvero pensate di poter fermare il corso della storia? Morirete cinesi, vi dico. E se non a voi, toccherà ai vostri figli o nipoti. (…) finirete sotto la tutela benevola e arcigna di un sovrano paterno, illuminato, inflessibile nel portarvi i benefici di una civiltà superiore. Ve lo dico dall’alto della mia statura imponente, e di 3500 anni di storia. Io l’ho ribattezzata Belt and road initiative («l’iniziativa strada e cintura»), ma lungo le Vie della seta dall’Asia orientale al Mediterraneo viaggiavano merci e idee già mille anni prima di Cristo (...)».

«Fermare la Cina non mi interessa, imparare dalla Cina sì», risponde il secondo. «Non mi riferisco agli aspetti ripugnanti del tuo sistema politico, come l’autoritarismo e la censura. Però nel discorso che ho tenuto al Congresso in occasione dei miei primi cento giorni ho detto all’America: perché le pale eoliche per lo sviluppo sostenibile non possono essere fabbricate a Pittsburgh, anziché a Pechino?». Per l’autore – corrispondente de «La Repubblica» da New York e, tra le altre cose, ex inviato a Parigi, Bruxelles, San Francisco e Pechino – gli aspetti che uniscono i due leader, pure così diversi, non si limitano alla sfida comune dell’emergenza climatica e alla necessità di trovare risposte globali alle pandemie del futuro. Entrambi governano Nazioni segnate da grosse diseguaglianze – «quelle americane si sono allargate dagli anni Ottanta in poi, e questo rimanda all’ideologia neoliberista che si affermò ai tempi di Ronald Reagan» – e si devono confrontare con lo strapotere dei giganti della tecnologia (Big tech), cresciuto a dismisura durante l’era del Coronavirus. «La Cina si è accorta che uno dei suoi colossi digitali, il gruppo Alibaba-Ant-Alipay, gestisce grazie a una app su smartphone pagamenti, prestiti e investimenti superiori al Pil del Paese».

Così Pechino reagisce, osserva Rampini, imponendo nuovi limiti e regole ai miliardari del digitale. Biden ha lo stesso problema – vedi Amazon, Apple, Google, Facebook, Microsoft e Netflix – ma per lui, presidente democratico, «è meno facile piegare questi poteri forti, visto che l’establishment digitale lo ha aiutato a vincere le elezioni». Il giornalista sottolinea in seguito come il presidente americano invidia almeno due cose a Xi: la lunga durata dei suoi mandati, che permette azioni più decise ed incisive, e la coesione nazionale del Dragone. Niente a che vedere con un Paese profondamente lacerato qual è l’America di oggi. Fermare Pechino approfondisce diversi altri aspetti, a partire dal primo incontro ufficiale tra Biden e il Governo di Xi, il 18 marzo 2021 ad Anchorage, in Alaska: «è stato subito scontro». Svela inoltre alcuni lati della «Cina nascosta e inquietante, che l’élite occidentale ha deciso di non vedere»: il razzismo quotidiano dei cinesi Han, il ceppo maggioritario e dominante («la visione Han centrica»); lo jun xùn, rito collettivo simile ad un addestramento militare, obbligatorio per le matricole in tutti gli atenei della Repubblica popolare. Il quale può a prima vista sembrare il semplice specchio dell’autoritarismo cinese, terribile e caricaturale, ma più sottilmente è un modo per veicolare senso di appartenenza, patriottismo e nazionalismo. «Valori che un tempo si coltivavano anche in Occidente – dice Rampini – e che in molte parti del mondo sono ancora considerati positivi». Che dire poi della durezza della selezione meritocratica di Pechino, a partire dall’istruzione scolastica?

L’autore del saggio spazia tra le domande sul fragile destino dell’unica «democrazia cinese», Taiwan, che «concentra nelle sue aziende e sul suo territorio una proporzione dominante della produzione mondiale di semiconduttori (…) di importanza strategica per tutte le altre industrie tecnologiche inclusi gli armamenti». Senza dimenticare i segreti che Wuhan, il primo focolaio mondiale di Covid-19, nasconderà per sempre e quelli che animano i racconti cinesi di fantascienza che spesso offrono una visione angosciante del futuro e – aggirando la censura – parlano della Cina di oggi. Rampini naturalmente volge spesso lo sguardo oltre Oceano, tracciando sottili paragoni e analizzando il presente a partire dal passato. Verso la fine del volume si concentra sull’ambizioso programma di riforme di Joe Biden, il Nuovo new deal (il maxi-piano per la modernizzazione delle infrastrutture e le energie rinnovabili, oltre a quello di aiuto alle famiglie americane). «Se tutti i progetti di Biden dovessero superare il vaglio del Congresso, il volume di spesa pubblica aggiuntiva raggiungerebbe 6000 miliardi di dollari. (…) uno sforzo finanziario che non ha precedenti dalla Seconda guerra mondiale». L’autore lo definisce anche «il nuovo grande esperimento americano, che tenta di invertire il corso della storia prima che sia troppo tardi».

E non è finita qui: si parla anche di anti-razzismo portato alle estreme conseguenze che implica «un mea culpa permanente di tutti i bianchi, un’espiazione collettiva delle colpe che risalgono allo schiavismo»; della Seconda guerra fredda tra Washington e Pechino la quale conosce importanti sviluppi nel 2020-2021 (leggi pandemia e uscita di scena di Trump); della crisi della democrazia americana che segna il suo apice il 6 gennaio scorso, durante l’assalto al Campidoglio. Chi tra le due superpotenze uscirà vincitrice dal confronto? Il futuro si gioca in Asia, suggerisce Rampini. «La tragica parentesi Covid ha provocato un’accelerazione nell’ascesa di Pechino. Mentre l’Occidente si fermava, stremato, l’economia della Tigre ha ripreso a correre». Ma la speranza in Occidente rimane, insieme all’opportunità di fissare delle linee rosse che la smisurata ambizione cinese non deve oltrepassare.