Emmanuel Macron compirà una visita di Stato in Svizzera a metà novembre. La notizia è giunta il mese scorso ma è sparita presto dai radar: l’estate toglie vigore all’attività politica e orienta gli interessi e le preoccupazioni dei cittadini in altre direzioni. È la prima volta, dopo sei anni di permanenza all’Eliseo, che il presidente francese dedica due giornate intere al nostro Paese e ai rapporti che le due Nazioni vicine intrattengono. La visita avrà un sicuro rilievo, soprattutto nel contesto della politica estera elvetica dei prossimi mesi, anche al di là dei risultati che ne scaturiranno.
Se diamo un rapido sguardo al passato, scopriamo che le visite di Stato in Svizzera dei presidenti francesi sono state soltanto quattro. La prima risale addirittura al 1910, con Armand Fallières, presidente della Terza Repubblica. Le altre tre sono avvenute nei tempi più recenti della Quinta Repubblica, ossia negli ultimi cinquant’anni: con François Mitterrand nel 1983, Jacques Chirac nel 1998 e François Hollande nel 2015. Sono state dunque poche e ciascuna visita è stata interpretata come la fine di un periodo denso di problemi e l’inizio di una nuova fase di cordialità e di buone relazioni. Esemplare in tal senso è stata la visita di Hollande nel 2015, accolto dalla presidente della Confederazione di allora Simonetta Sommaruga. Hollande sottolineò allora i passi avanti compiuti dalla Svizzera nella lotta contro l’evasione fiscale, in particolare con l’adozione dello scambio automatico di informazioni, e decretò la fine delle vertenze fiscali che per anni avevano avvelenato la relazione bilaterale. Il quotidiano francese «Le Monde» titolò: Hollande in Svizzera per seppellire l’ascia di guerra fiscale.
Assisteremo a qualcosa di analogo con la visita di Macron. I rapporti tra i due Paesi hanno vissuto un momento difficile nel 2021. Dapprima con la decisione del Consiglio federale di interrompere la trattativa con l’Unione europea sull’accordo istituzionale. La Francia non era schierata in primo piano, però appoggiava la posizione della Commissione europea, che cercava di trovare un’intesa sui punti maggiormente contestati, come la soluzione dei conflitti bilaterali o la ripresa del diritto europeo da parte della Svizzera. Parigi non nascose la sua delusione per l’interruzione del negoziato.
In secondo luogo e soprattutto, con un’altra decisione del Consiglio federale, quella di scegliere come nuovo aereo da combattimento l’F-35 americano e non il francese Rafale o gli aerei del consorzio europeo Eurofighter. La decisione provocò una grossa delusione a Parigi perché il Governo francese, sulla base delle discussioni che aveva avuto con il Dipartimento federale della difesa, pensava che l’accordo con la Svizzera fosse ormai a portata di mano. Anche le altre principali capitali europee non nascosero il loro disappunto e criticarono Berna per non aver tenuto conto dell’importanza degli aspetti geostrategici. La stampa romanda non esitò a schierarsi contro la decisione del Consiglio federale di acquistare gli F-35 americani e scrisse che la Svizzera stava infliggendo un nuovo affronto ai Paesi dell’Unione europea dopo aver cestinato il progetto di accordo istituzionale.
Negli ultimi due anni dietro le quinte si è svolto un paziente lavoro di ricomposizione, con numerosi incontri anche tra i principali dirigenti. Lo scorso mese di giugno il presidente della Confederazione Alain Berset è stato a Parigi al vertice per un nuovo patto finanziario internazionale e ha avuto la possibilità di intrattenersi con il presidente francese. Lo scorso mese di ottobre Ignazio Cassis, nella sua veste di presidente della Confederazione, ha incontrato Macron a margine della prima riunione della Comunità politica europea. Un organismo voluto da Macron che ha centrato i suoi lavori sui temi della sicurezza e dell’energia, e che comprende 44 Paesi, fra i quali molti Paesi extra Ue, dai Balcani al Caucaso, passando per la Svizzera. L’incontro tra i due presidenti si è poi ripetuto un mese dopo nella capitale francese al margine del Forum di Parigi. Numerosi altri incontri si sono svolti anche tra i massimi rappresentanti delle due amministrazioni nazionali.
Il paziente lavoro diplomatico ha potuto appoggiarsi sulla realtà di fondo che caratterizza i rapporti tra i due Paesi vicini. La Francia e la Svizzera sono legati da una lingua comune, quella francese, da valori fondamentali condivisi come la libertà e la democrazia, da importanti scambi economici, politici e culturali, nonché da rapporti umani. La Svizzera condivide con la Francia quasi 600 chilometri di frontiera. Ogni giorno più di 200’000 cittadini francesi attraversano il confine per lavorare in Svizzera. Gli svizzeri residenti in Francia sono oltre 200’000 e costituiscono la più grande comunità elvetica all’estero. I francesi che risiedono in Svizzera sono 185’000. La Francia è il sesto partner commerciale della Svizzera e occupa il sesto posto tra gli investitori esteri nel nostro Paese. Più di 1300 imprese svizzere sono insediate in Francia e danno lavoro a oltre 300’000 persone. I due Paesi intrattengono intense relazioni anche nei campi dell’istruzione e della ricerca e sono attivi nei vari programmi e organizzazioni a livello europeo, come il CERN o l’Agenzia spaziale europea. Gli scambi culturali, infine, sono storicamente antichi e molteplici. Il Centre culturel suisse a Parigi promuove e diffonde la produzione culturale svizzera contemporanea. Numerosi sono gli artisti e gli intellettuali francesi che presentano e diffondono le loro opere nei teatri e nelle sale della Svizzera romanda.
Gli intensi sforzi diplomatici intrapresi a vari livelli e il riconoscimento reciproco dell’importanza reciproca delle relazioni bilaterali hanno dunque indotto i dirigenti politici a ritrovare una buona intesa e una certa cordialità. Il pragmatismo è prevalso e ora la visita di Macron può diventare il punto di partenza di una nuova fase bilaterale, più proficua per le due parti di quella vissuta negli ultimi anni. Sul piano interno sarà sicuramente anche un ultimo momento felice nella carriera politica di Alain Berset che, a fine anno, lascerà la presidenza della Confederazione e anche il Consiglio federale.