Le recenti elezioni in Sassonia e nel Brandeburgo, già regioni della DDR, hanno confermato l’ascesa dei nazionalisti dell’Alternativa per la Germania (AfD), il relativo declino della CDU – che tiene ormai solo dove presenta candidati di centro-destra, antimerkeliani – e la desolata situazione della SPD. I Verdi all’Est non sfondano. I liberali restano forza minore, mentre la Sinistra (ex comunisti e qualche convertito del dopo-Muro) perde colpi, ma resta un partito che nell’ex Germania satellite dell’Urss può giocare qualche carta di rilievo. Trovandosi nella paradossale situazione di fronteggiare il partito nazionalista AfD che si presenta come erede e continuatore della Wende, della svolta post-Muro che avrebbe inteso salvare, riformandola, la Repubblica Democratica Tedesca.
Questo il panorama politico che si sta disegnando in Germania, nel lungo tramonto dell’apparentemente intramontabile Angela Merkel. Non è dato stabilire se la cancelliera vorrà e potrà comunque rimanere al suo posto per quel paio d’anni che manca alla scadenza del mandato, o dovrà lasciare prima. Le sue non ottimali condizioni di salute, che la inducono a parlare sempre più da seduta e limitare lo stress, ma soprattutto la salute assai precaria del suo partito politico, inducono a considerare non assurda l’ipotesi di un cambio della guardia anticipato.
La candidata scelta da Merkel per la successione, la pallida gaffeuse Annegret Kramp Karrenbauer, non pare all’altezza della soluzione. Non solo per il suo profilo scolorito, per la scarsa esperienza al livello del governo federale (oggi in via di compensazione quale responsabile della Difesa, non proprio una poltrona invidiabile). Anche e forse soprattutto perché la CDU ha bisogno di svoltare a destra. Non per ragioni ideologiche, per necessità politica. Si tratta di occupare, almeno in parte, quel terreno tipicamente conservatore che la CDU pre-Merkel, in coproduzione con la CSU bavarese, gestiva brillantemente, tenendolo insieme alle correnti più aperte e progressiste del cattolicesimo democratico.
L’alternativa è…che quegli elettori cristiano-democratici di destra finiscano per scegliere l’Alternativa per la Germania come patria politica surrogata. Sembra che il gruppo dirigente dell’AfD (Alternative für Deutschland), per quanto diviso e confusionario, abbia capito di potersi affermare sia all’Est sia in qualche misura anche all’Ovest come Volkspartei. Partito di massa. Operazione impossibile senza tagliare le unghie alle correnti più estreme, come la Flügel (Ala), particolarmente forte in Turingia e in altre regioni dell’Est, che ostenta posizioni ipernazionaliste, con qualche concessione al razzismo e al neonazismo. Se questa chirurgia riuscirà – non è facile – l’Alternativa della Germania in versione relativamente moderata si affermerà come partito decisivo, in prospettiva capace di formare una coalizione con la CDU, opportunamente riorientata a destra, ed eventualmente qualche forza minore. Un partito «popolare, comunitarista, identitario, liberale», nella formula cara all’ala conservatrice del partito.
La fine dell’èra Merkel si annuncia quindi come un cambio al vertice del governo, ma soprattutto come una rivoluzione nella struttura del sistema politico tedesco. Con almeno cinque o sei partiti rilevanti, di cui però due (Sinistra e Alternativa) ora non spendibili in una coalizione di governo. Ma un giorno forse lo saranno, e quel giorno potrebbe coincidere con il ritiro della cancelliera.
La crisi politica si accompagna a una crisi economica altrettanto strutturale, anche se assai meno potente. Il modello tedesco, fondato sull’esportazione, è messo in difficoltà dalla guerra commerciale Cina-Usa e dal tendenziale calo dei consumi nei principali mercati mondiali. La Germania è in recessione. Entro un anno potrebbe toccare all’America. Ma mentre quella statunitense sarebbe una classica crisi ciclica, quella tedesca si presenta come assai più profonda. Anche perché l’industria tedesca è in buona parte ancorata a settori, come quello automobilistico, che rappresentano la manifattura del Novecento. E che infatti Trump intende mettere nel mirino, nella sua campagna antitedesca che assume a tratti il carattere di una rivolta contro le sue origini bavaresi. Dazi incombono su Mercedes e BMW, come Trump ha avvertito durante il G7 di Biarritz. Per punire la Germania, che viaggia a sbafo sul treno della Nato e intanto continua a legarsi al produttore di gas russo.
Molto lascia pensare che il bilancio di Angela Merkel, in prospettiva storica, si presenterà molto meno brillante di come poteva apparire solo un anno fa. E che la Germania non uscirà rapidamente dal tunnel di indecisione e di introversione imboccato da un paio d’anni.