L’Irlanda è il cubo di Rubik della Brexit: solo chi lo risolve può andare avanti. Però trattandosi di un gioco di pazienza e logica in molti, soprattutto sul fronte degli euroscettici tendenza no deal, pensano che sarebbe meglio spaccarlo, questo cubo, che non affrontare tutte le sottigliezze necessarie per raggiungere il risultato, ossia fare in modo che un paese dell’Unione europea e una nazione parte di un paese ormai fuori dall’Unione europea non ci sia un confine fisico. Trattandosi di un’isola che per decenni è stata bagnata dal sangue delle violenze settarie tra cattolici irlandesi repubblicani e protestanti unionisti e che ha raggiunto un equilibrio solo grazie agli accordi del Venerdì Santo del 1998, è facile capire perché un confine farebbe saltare una pace conquistata a fatica. Facendo rivenire a galla la spaccatura tra comunità che solo l’assenza di controlli ha permesso di ignorare o quasi per tanti anni e riaccendendo quelle fiammelle di violenza ormai quasi del tutto spente, minoritarie, schiacciate dal peso trionfale della pace. La Nuova Ira, erede di quell’esercito repubblicano che terrorizzò la Gran Bretagna, ha emesso qualche vagito proprio nei giorni scorsi, come a voler mostrare subito al mondo cosa succede quando si gioca con il fuoco.
Una bomba in un sabato sera a Londonderry, meglio nota come Derry, seconda città dell’Ulster e teatro del Bloody Sunday nel 1972, è risuonata sinistra pur non avendo fortunatamente fatto vittime. In centro, nascosta dentro un furgoncino per le consegne della pizza rubato poche ore prima, è stata messa davanti a una corte di giustizia a pochi metri da un albergo e da un centro ricreativo in cui c’erano bambini.
Soprattutto, non ha avuto lo stesso preavviso di altre bombe del passato, lasciando letteralmente un pugno di minuti alle autorità per sgomberare la zona. Sono stati arrestati due giovani e secondo gli inquirenti sarebbero legati alla Nuova Ira, organizzazione che «come molti gruppi dissidenti repubblicani in Irlanda del Nord, è piccola, poco rappresentativa e determinata a riportare la gente dove non vuole più stare», ha rassicurato il commissario incaricato delle indagini. Da tutto l’arco politico sono giunte le condanne più ferme. «Derry è una città che sta andando avanti e nessuno vuole questo tipo di incidenti», ha spiegato la deputata dello Sinn Fein, partito che i più oltranzisti accusano di eccessiva morbidezza nell’aver accettato gli accordi del 1998.
Oltre a questo «atto incredibilmente incosciente», sempre secondo le parole della polizia, ci sono stati altri due assalti a vetture private da parte di uomini mascherati. La presenza di forze di polizia in città è aumentata e questo ha riportato a galla vecchi ricordi. «Non capiscono niente degli anni Settanta e Ottanta, non ne sanno nulla», ha raccontato alla BBC il nonno di una delle ragazzine del gruppo di adolescenti di varie origini e religioni passati davanti alla vettura esplosiva poco prima che detonasse. L’aria in città è cambiata da tempo e nessuno vuole tornare indietro.
Oltre alla questione geopolitica irlandese, il tema della clausola di salvaguardia per l’Irlanda del Nord, il cosiddetto «backstop» contenuto nel trattato di uscita del Regno Unito dall’Unione europea, ponderoso testo di 575 pagine siglato a Bruxelles alla fine dello scorso mese di novembre e ormai immutabile, secondo le autorità europee, ha una dimensione squisitamente indipendentista. Il rompicapo ruota intorno al fatto che Dublino è un membro convinto e entusiasta dell’Unione europea, parte della zona euro ma soprattutto, come tutti, del mercato interno, mentre l’Irlanda del Nord è una delle quattro nazioni che formano il Regno Unito insieme a Scozia, Inghilterra e Galles.
Dopo la Brexit non sarà quindi più nel mercato interno e questo porterebbe a dover mettere una qualche forma di controllo delle merci in transito da una parte all’altra dell’isola, per evitare soprattutto che Belfast si trasformi in un punto di accesso per prodotti al di sotto degli standard europei sia per qualità che per prezzo. Un punto, questo, che si spera verrà risolto dal futuro accordo commerciale tra Regno Unito e Unione europea, ma che, viste le difficoltà a trovare un’intesa già solo sui termini del divorzio, non può essere certo dato per garantito. Per questo è stato previsto il famigerato «backstop», la clausola di salvaguardia che verrà applicata solo nel caso di emergenza entro il dicembre del 2020 e che prevede, dopo molte trattative, che l’Irlanda del Nord sia allineata ad alcune regole del mercato unico. Inoltre implicherebbe il mantenimento di un unico territorio doganale tra Ue e Regno Unito per evitare che l’Ulster restasse isolato con regole diverse da quelle applicate nel resto del Paese.
Quest’ultimo punto è inaccettabile per gli unionisti irlandesi del DUP, sui cui voti la premier Theresa May deve contare per avere una maggioranza in Parlamento: non vogliono trattamenti diversi dal resto del Paese, cosa che invece piacerebbe molto alla ben più europeista (e indipendentista) Scozia. Il fatto che regole diverse esistano già su altri temi come l’aborto, ad esempio, non è un argomento per la pugnace leader Arlene Foster, la quale è ben consapevole che una situazione del genere agevolerebbe la strada verso un altro referendum di faticosa gestione, ossia quello sulla riunificazione irlandese. Una prospettiva che potrebbe far simpatia a un primo sguardo ma che rischierebbe di somigliare, nel risultato e nelle controversie, al voto sulla Brexit: semplificare ciò che è complesso e ridurlo a misura di opinione da social network, come si è visto, è molto problematico.
Il nodo vero, però, è ancora un altro: l’uscita dalla soluzione temporanea, che potrebbe non dover mai essere applicata, è prevista solo in caso di accordo da parte di Bruxelles. Questo significa che in teoria il Regno Unito potrebbe ritrovarsi bloccato nell’unione doganale senza poter decidere unilateralmente di andarsene. Per questo il ministro degli Esteri polacco ha proposto, senza essersi consultato con gli altri partner europei, di mettere un limite di cinque anni al «backstop», sapendo di fare cosa gradita a Londra. Ma le decisioni si prendono tutti insieme, come dimostrato dall’accoglienza gelida ricevuta anche dall’idea del ministro per il Commercio Liam Fox di un accordo bilaterale tra Londra e Dublino. Soprattutto il negoziatore capo Ue Michel Barnier si è mostrato inamovibile, suggerendo che sarebbe meglio concentrarsi sul miglioramento delle relazioni future, delineate in un testo a parte rispetto a quello sulla Brexit vera e propria e ritenuto ormai blindato. E Bruxelles ha fatto anche presente come, in caso di no deal, la frontiera fisica ci sarebbe senz’altro.
Ma è proprio in questa cessione di sovranità che la May ha deciso di cercare una soluzione. Fedele alle sue linee rosse e al suo rifiuto di escludere il no deal per non irritare gli euroscettici del suo partito e non portare a una scissione dei Tories ormai nelle carte da anni, la premier sempre più sotto assedio e a corto di idee ha individuato nel nodo irlandese la chiave per portare all’approvazione del suo testo, come se non avesse provato già a modificarlo nei mesi passati andando invariabilmente a sbattere contro un muro. La clausola è vessatoria e sicuramente difficile da accettare, ma se solo si guardasse al futuro, come sostiene Barnier, forse si riuscirebbe a discutere di qualcosa di più costruttivo. Ma la feticizzazione del «backstop» irlandese proprio a questo sta portando: a non parlare mai di futuro.