Asse Mosca-Pechino contro Trump

Crisi coreana – Il surriscaldarsi dell’atmosfera strategica, dopo il riuscito lancio del missile intercontinentale, ha l’effetto di rinsaldare l’intesa tattica fra Putin e Xi contrari ad adottare nuove sanzioni Onu contro Pyongyang
/ 10.07.2017
di Lucio Caracciolo

Per la prima volta nella storia gli Stati Uniti sono potenzialmente sotto tiro di una potenza atomica imprevedibile, in grado di distruggere una metropoli americana. Il riuscito lancio di prova di un missile intercontinentale nordcoreano, il 4 luglio, capace di raggiungere il territorio dell’Alaska, ha aperto questo cupo scenario. Accompagnato da un sinistro messaggio del dittatore locale, Kim Jong-un, nel quale si festeggiava il «dono» fatto al popolo americano in occasione dell’Independence Day. Secondo alcuni esperti, la possibilità che Pyongyang si doti di un missile balistico capace di colpire New York non è più remota. Al di là delle dispute tecniche, siamo entrati in una nuova fase strategica, nella quale le antiche categorie della deterrenza nucleare risultano obsolete.

La novità è che stavolta di fronte agli Stati Uniti non si situa una superpotenza nemica ma omologa, dunque prevedibile, quale l’Unione Sovietica, ma un paese semisconosciuto, i cui codici strategici non sono espliciti né facilmente divinabili. Indipendentemente dalla volontà dei protagonisti, il rischio di guerra non voluta, scatenata per accidente o per una percezione sbagliata delle intenzioni altrui, è piuttosto concreto. La guerra non sarà dietro l’angolo, ma i pesi e i contrappesi militari disegnano un piano inclinato che porta allo scontro, probabilmente atomico, fra Corea del Nord e Stati Uniti, con la loro corona di alleati regionali e globali. Gli effetti di questo conflitto sarebbero comunque devastanti sotto il profilo umano e ambientale. E salvo l’obliterazione della Corea del Nord, sono del tutto imprevedibili. Ciò paradossalmente aumenta, anziché contenere, le probabilità che la guerra di Corea, sospesa dal 1953, possa riprendere su scala moltiplicata. Rinnovando la memoria del generale McArthur, che fu destituito dall’allora presidente Truman perché proponeva di lanciare bombe atomiche sui comunisti nordcoreani.

La partita coinvolge tutte le maggiori potenze della regione e del pianeta. Lo scontro principale è fra Stati Uniti e Cina. Trump ha messo in chiaro con Xi Jinping che si attende da lui una pressione tale sulla Corea del Nord da costringerla a rinunciare al programma atomico militare. Il presidente cinese non può accontentarlo, ammesso che lo voglia. Il regime di Pyongyang considera il suo arsenale nucleare in sviluppo una polizza di assicurazione sulla vita e insieme un fattore irrinunciabile di legittimazione interna. Per togliere alla Corea del Nord l’arma di ricatto atomica occorre quindi un colpo di Stato o la sconfitta in guerra del Paese. La prima ipotesi, già esplorata, appare improbabile data l’impenetrabilità del regime. La seconda implica costi formidabili e non quantificabili.

Dal punto di vista cinese, l’obiettivo ideale è tenere in piedi la Corea del Nord – magari con un regime meno ossessionato dalla Bomba – perché in caso di collasso e quindi di annessione alla Corea del Sud Pechino si troverebbe con le truppe americane, oggi stanziate nelle basi meridionali della penisola, a ridosso della propria frontiera. Inoltre, la diffidenza se non l’ostilità reciproca, mascherata sotto i panni di un’alleanza solo formale, limita l’influenza cinese a Pyongyang, dove questa viene vista come tendente ad assimilare il Paese inventato da Kim Il-sung al modello di capitalismo autoritario sperimentato con successo dalla Repubblica Popolare. Non sarà dunque Pechino a trar fuori le castagne dal fuoco per conto di Washington.

A complicare l’equazione, lo schieramento regionale. Anzitutto, la Corea del Sud, candidata a essere la prima vittima dell’eventuale conflitto Pyongyang-Washington. La capitale Seul è sotto tiro dell’artiglieria nordcoreana, come una restante metà del Paese. In teoria i nordcoreani potrebbero distruggere la metropoli sudcoreana senza nemmeno ricorrere all’arma atomica. Allo stesso tempo, un attacco di tal genere provocherebbe quasi certamente la rappresaglia atomica statunitense. Si spiega così perché a Seul la parola d’ordine sia giocare la carta diplomatica, a partire dal negoziato diretto con i cugini settentrionali, malgrado lo scetticismo americano.

Ma la Corea del Sud diffida anche del Giappone, nemico storico della nazione, tanto che le sue simulazioni di guerra prevedono lo scontro con Tokyo più di quello con Pyongyang. L’arcipelago nipponico è comunque nel mirino nordcoreano, come confermano i test missilistici del regime di Kim Jong-un, condotti verso le acque del Mar del Giappone (Mare dell’Est secondo i coreani d’ogni colore).

Il surriscaldarsi dell’atmosfera strategica attorno alla penisola coreana ha infine l’effetto di rinsaldare l’intesa tattica Russia-Cina. Putin e Xi Jinping hanno concordato di allinearsi sull’approccio politico-diplomatico, ovvero sull’inasprimento delle sanzioni e della retorica contro Pyongyang, ma senza ventilare nuove sanzioni o ipotesi belliche. Così marcando le distanze dagli Stati Uniti, come ormai su tutti i principali dossier economici e geopolitici.

Sono ormai molti mesi che nei laboratori strategici di Washington si studiano e si perfezionano i piani per una guerra preventiva contro la Corea del Nord. Non più solo normale precauzione. La guerra è perfettamente evitabile, ma troppe volte nella storia le pianificazioni più minuziose sono saltate per caso o per incidente. Nulla ci assicura che non possa succedere anche in Corea.