Asifa, 8 anni, in pasto ai lupi

La seta indiana – Violentata e uccisa nel bosco perché era musulmana
/ 30.04.2018
di Francesca Marino

Abbiamo fatto marce e fiaccolate, campagne contro lo stupro e lo sfruttamento delle donne. Siamo scese in piazza, abbiamo parlato nelle scuole. Le leggi sono state rafforzate e rese più dure ma, a quanto pare, non è servito a niente. Non è servito a niente perché siamo ancora qui a guardarci incredule davanti all’ennesimo orrore, che è sempre un po’ peggiore di quello precedente. L’avevamo chiamata Nirbhaya, quella che non si arrende, la studentessa di Delhi che aveva lottato contro i suoi stupratori che, per tacitarla, l’avevano uccisa. Avevamo parlato di coraggio, del coraggio di denunciare, del coraggio di essere donne. Adesso, non ci sono parole.

Aveva i codini e gli occhi enormi, Asifa, e il sorriso grande di tutti i bambini. Il sorriso congelato per sempre nella foto che ci rimandano da giorni tutte le televisioni e tutti i giornali. Assieme a un’altra foto, del corpo della stessa bimba ritrovato nella foresta. Immagini tremende, che è impossibile guardare senza provare un pugno alla stomaco. E una rabbia enorme che ti monta dentro, perché pensi che Asifa aveva la stessa età di tua figlia e lo stesso sorriso innocente. Si chiamava Asifa, e aveva otto anni appena. Otto anni vissuti dentro a una comunità nomade del Kashmir indiano, otto anni trascorsi per campi e foreste aiutando i genitori a pascolare le bestie. Bestie che sono meglio, mille volte meglio degli esseri umani che Asifa ha incontrato nel bosco da cui una mattina è scomparsa per essere ritrovata poi cadavere, abbandonata come una bambola rotta. I dettagli del rapporto stilato dalla polizia sono agghiaccianti: la bimba è stata rapita, drogata e stuprata per giorni da otto uomini, tra cui un poliziotto. Uno dei gentiluomini in questione è stato perfino invitato da una città vicina per partecipare alla festa. Festa che si è tenuta dentro a un tempio induista.

Quando gli otto animali si sono stancati del passatempo, hanno strangolato la bimba: e dopo l’hanno colpita in testa e sul viso con un sasso, per essere sicuri che fosse veramente morta. Sicuri che non potesse raccontare e sicuri, anche, che la morte di una pastorella appartenente a una comunità nomade musulmana era, doveva essere una piccola cosa. Anzi, la polizia sostiene che lo stupro di Asifa facesse parte di un piano per liberarsi proprio di quella particolare comunità. Così, per aggiungere oltraggio all’orrore, lo stupro della piccola Asifa ha assunto una coloritura politico-religiosa e si è tramutato in una vergogna nazionale di vastissime proporzioni. Un gruppo di fanatici hindu autoproclamatisi Hindu Ekhta Manch o «Forum per l’unità hindu» hanno inscenato marce e dimostrazioni a sostegno degli stupratori, con tanto di bandiera nazionale e slogan nazionalisti. Come se quella stessa bandiera non fosse stata creata per garantire protezione a tutti i suoi cittadini, di qualunque razza e religione essi siano. Due ministri del Bjp hanno apertamente criticato l’operato della polizia, e una marmaglia di cosiddetti avvocati ha cercato di bloccare la pubblica accusa mentre si recava in tribunale. Sempre con bandiere e slogan.

Una vergogna, per la bandiera e per la nazione. Ma una vergogna che si ripete ormai con allarmante frequenza nonostante Narendra Modi si ostini a ripetere: «Beti bachao, Beti padhao» (Salvate le nostre figlie, educate le nostre figlie). Il punto è che le nostre figlie dovrebbero essere salvate prima di tutto dagli appartenenti al suo partito. L’anno scorso un’altra ragazza era stata stuprata da Kuldeep Singh Sengar, esponente politico di spicco del Bjp, e da altre tre persone. La ragazza aveva denunciato, e per tutta risposta suo padre era stato picchiato dagli sgherri di Sengar e poi arrestato per aver provocato i suoi aguzzini. È morto in prigione qualche giorno fa, mentre la ragazza ha tentato di suicidarsi per protesta davanti alla casa del chief minister dell’Uttar Pradesh Yogi Adityanath. Nessuno dei ministri donna del governo di Narendra Modi ha speso una parola per le vittime, mentre la risposta di un altro esponente politico è stata: «È morta una ragazzina? Quindi? Ogni giorno muore qualche ragazzina».

È desolante, e questa volta è desolante anche la cautela con cui la gente comune si rapporta a questi casi, specie a quello di Asifa: lo sdegno lascia posto a una violenza verbale e spesso anche fisica, e chi punta il dito contro l’orrore viene stigmatizzato come «anti-India/pro Pakistan». Traditore della patria, al soldo del nemico. La bambina era musulmana, quindi. Quindi non ci sono fiaccole per Asifa, né soprannomi di coraggio e onore come Nirbhaya. Solo le voci dei media, il suo sorriso spezzato. Il silenzio e la vergogna. La nostra, e quella della bandiera indiana.