Ascesa e caduta di un astro politico

In un libro Philippe Reichen ripercorre la vicenda del consigliere di Stato ginevrino Pierre Maudet, tradito dalla propria ambizione
/ 15.06.2020
di Marzio Rigonalli

Per quali ragioni un brillante uomo politico, destinato a ricoprire una delle massime cariche dello stato, s’inciampa nel suo percorso e cade senza poter risollevarsi e continuare a nutrire le sue ambizioni? È la parabola di Pierre Maudet, giunto a 39 anni sulla soglia del Consiglio federale, che Philippe Reichen, corrispondente del «Tages Anzeiger» nella Svizzera romanda, cerca di analizzare e di spiegare in un libro di recente pubblicazione (Pierre Maudet – sein Fall, edizioni Stämpfli).

Prima di inoltrarsi nei momenti decisivi della caduta di Maudet, Reichen ripercorre la sua rapidissima carriera politica, senza dimenticare i tratti della sua personalità. Una carriera che comincia già quando Maudet aveva 12 anni, il giorno in cui propose al municipio ginevrino di creare un parlamento dei giovani. Il progetto si realizzò due anni dopo e Maudet divenne presidente del parlamento. Sei anni dopo, Maudet si iscrisse al PLR ginevrino, che allora comprendeva soltanto i radicali, e a 21 anni venne eletto nel «Conseil municipal». Era il più giovane degli 80 membri del legislativo cittadino. Nel 2007 diventò municipale ed assunse il dicastero della sicurezza, comprendente le forze di polizia, la protezione civile ed i pompieri. Quattro anni dopo, venne confermato nell’esecutivo e ne assunse la presidenza. Diventò il più giovane presidente del «Conseil administratif», un traguardo mai registrato da nessuno fino allora nella storia della città. Il passaggio al livello superiore era ormai imminente. Un anno dopo, nel 2012, approfittando di un’elezione complementare, Pierre Maudet si fece eleggere nel Consiglio di Stato. Aveva soltanto 34 anni e stabiliva un altro record, quello di essere il più giovane consigliere di Stato nella storia del canton Ginevra. La nomina nel governo cantonale non rappresentava però un punto d’arrivo, bensì un trampolino, che Pierre Maudet voleva usare per dare concretezza alle sua ambizioni nazionali e diventare consigliere federale, imitando così Micheline Calmy-Rey, che passò direttamente dall’esecutivo cantonale all’esecutivo federale. L’occasione si presentò nel giugno del 2017, quando Didier Burkhalter annunciò le sue dimissioni. Pierre Maudet presentò la sua candidatura e lo stesso fecero Ignazio Cassis e la vodese Isabelle Moret. Le peripezie che caratterizzarono la successione di Burkhalter costituiscono ormai un lungo capitolo della nostra storia nazionale recente. Ricordiamo soltanto che Cassis venne eletto dall’Assemblea federale al secondo turno con 125 voti. Maudet ottenne 90 voti. La sconfitta non intaccò la sua popolarità a Ginevra. Qualche mese dopo, nell’aprile del 2018, venne riconfermato nel Consiglio di Stato e fu l’unico membro del governo ad essere rieletto al primo turno.

Sfogliando le pagine della carriera politica di Pierre Maudet, Reichen mette in luce quelle caratteristiche che gli hanno consentito di essere al centro della scena politica ginevrina per molti anni. Una grande forza di lavoro, una buona dose di coraggio, che gli consentiva di difendere anche progetti molto criticati e difficili da far accettare, un dinamismo continuo che caratterizzava il suo lavoro quotidiano e una possente capacità retorica. Molti ginevrini vedevano in lui non soltanto un uomo simpatico e capace, ma anche un politico in grado di avere delle idee e dei progetti, e di sapersi proiettare nel futuro. I suoi appoggi e le simpatie che generava si estendevano ben oltre il suo partito. Una parte della sinistra l’accettava perché proponeva una politica economica sociale e perché fu l’autore dell’operazione papyrus, che mirò a legalizzare lo statuto dei «sans-papiers». La destra lo appoggiava perché sapeva essere duro ed intransigente nei confronti della criminalità e dell’immigrazione clandestina.

Il brillante percorso politico di Maudet nascondeva, però, un’ombra che a poco a poco emerse e si estese, fino a minare la sua credibilità e la sua affidabilità. I primi segnali giunsero attraverso alcuni articoli di stampa. In gioco c’era un viaggio che Maudet compì ad Abu Dhabi nel novembre del 2015, con la sua famiglia ed il capo del suo gabinetto. Era un viaggio ufficiale o un viaggio privato? Chi pagò le spese? Quali vantaggi ne derivavano e per chi? Nel 2017 la Procura ginevrina aprì un’inchiesta. Maudet cercò di giustificarsi, attribuendo l’invito e le spese del viaggio ad un suo amico. Mentì, probabilmente per non danneggiare la sua carriera politica. Più tardi si scoprì che Maudet era stato invitato dal principe ereditario di Abu Dhabi, il quale aveva assunto anche tutte le spese di viaggio e di soggiorno. L’inchiesta sul discusso viaggio, si estese poi anche ai finanziamenti delle campagne elettorali di Maudet ed alle sue dichiarazioni fiscali.

Il modo di agire di Maudet ebbe ovviamente conseguenze politiche, che Reichen descrive con dovizia di particolari. I suoi colleghi di governo gli tolsero importanti dossier, privandolo così di una parte dei suoi poteri. La direzione del PLR nazionale gli chiese di dimettersi ed altrettanto fece la direzione del PLR ginevrino. L’ambizioso consigliere di Stato, però, rifiutò e si appellò alla base del suo partito. Il 15 gennaio 2019, in un’assemblea molto attesa, la maggioranza dei membri del PLR ginevrino (341 contro 312) gli rinnovò la propria fiducia. Forte di questo consenso, Maudet rimase al suo posto e, più volte, dichiarò di voler restare consigliere di Stato fino alle prossime elezioni cantonali del 2023.

L’inchiesta non è ancora finita e soltanto una sentenza giudiziaria consentirà di scrivere l’ultima pagina di questo scandalo. È una vicenda che coinvolge innanzitutto la politica ginevrina, ma che, almeno in parte, tocca anche quella nazionale. Molte domande rimangono in sospeso. Per esempio: perché il principe ereditario di Abu Dhabi ha invitato un consigliere di Stato ginevrino? Oppure: che cosa sarebbe successo se Maudet fosse stato eletto consigliere federale nel 2017? Sono domande che probabilmente non avranno mai una risposta, ma che inducono a riflettere sui pericoli e le insidie cui devono far fronte le nostre istituzioni democratiche.