In Russia ormai le «chat della morte» sono state proclamate fuori legge dalla Duma, e mentre nel resto del mondo comincia a propagarsi il panico di genitori, tutori dell’ordine e educatori per il fenomeno delle «balene blu», o Blue Whale, in patria la creazione di gruppi in rete che propagandano il «gioco al suicidio» tra i ragazzi può essere punito con 3-6 anni di reclusione, anche in assenza di un tentativo di togliersi la vita, e fino a 8 anni se esiste una vittima.
La vicenda di Blue Whale è esplosa un anno fa, dopo la pubblicazione dell’inchiesta di Galina Mursalieva (foto) sulla «Novaya Gazeta». L’articolo è stato letto in pochi giorni da milioni di lettori, e la reputazione del giornale di denuncia reso famoso da Anna Politkovskaya ha aggiunto credibilità all’agghiacciante vicenda che raccontava: in Russia sarebbe in corso un’epidemia di suicidi dei ragazzi entrati nelle chat delle «balene». I genitori delle vittime, spacciandosi per teenager, si erano infiltrati nelle chat, scoprendo un terribile gioco a 50 livelli, in cui misteriosi «curatori» virtuali guidavano i ragazzi da «prove» abbastanza innocenti, come disegnare balene e farfalle, scrivere poesie tristi e guardare video horror, a sfregiarsi e infine suicidarsi, con un metodo che veniva comunicato l’ultimo giorno con un sms con il codice specifico. Secondo l’inchiesta, gli spietati «curatori» avevano già indotto a togliersi la vita 130 teenager, e decine di altri venivano preparati a compiere il passo fatale, con tanto di mappa piena di simboli arcani che indicava le città delle prossime tragedie.
Un anno dopo, i casi di suicidio o tentato suicidio, riportati a decine dai media come risultati del gioco in Rete, di regola non trovano conferma ufficiale, anche se i magistrati di Pietroburgo sostengono di poter collegare 15 morti ai gruppi delle «balene». L’unico incriminato per le chat è Filipp Budeikin, un musicista 21enne della provincia di Mosca: dopo sei mesi in carcere durante i quali aveva negato ogni responsabilità ora si ora vanta di aver contribuito alla morte di 28 ragazzi, «spazzatura biologica», li definisce.
L’altra eroina delle chat, con l’inquietante nickname di Eva Reich, nella vita reale si è scoperta essere una goffa tredicenne, che a fianco della mamma ha sostenuto di aver voluto istigare i coetanei al suicidio per «ripulire l’umanità dai deboli». È stata rimandata a casa perché sotto i limiti di età della responsabilità legale. Gli altri indiziati, tutti ragazzi, sono stati rilasciati per mancanza di prove. E la polizia ha dovuto ammettere la scoraggiante verità: la rete di maniaci non esisteva, sono gli stessi ragazzi a giocare a Blue Whale, chi come «balena» diretta verso la spiaggia della morte, chi come «curatore» che la istiga, spesso anche invertendo i ruoli dopo qualche mese.
Nel frattempo l’ente di controllo della Rete russo ha chiuso qualche migliaio di chat e pagine dei social network legati a Blue Whale. I presidi hanno convocato genitori mettendoli in guardia: se i loro figli disegnavano balene, se si sfregiavano, se non dormivano la notte ed esprimevano pensieri depressi, se «erano negativi verso il governo, la religione e le feste nazionali e familiari», come recita un popolare opuscolo, significa che sono a rischio.
La paura di Blue Whale, che ha accomunato genitori in rottura generazionale con i figli adolescenti assorbiti dal mondo a loro sconosciuto della Rete, è stata alimentata anche da un contesto politico in cui le autorità cercano da tempo di limitare Internet. Politologi e deputati hanno sostenuto che Blue Whale fosse un’operazione dei servizi occidentali per distruggere a distanza i bambini russi. In Ucraina, al contrario, si pensa di bloccare i social russi per il sospetto che siano i servizi di Mosca a istigare al suicidio i ragazzini di Kiev.
Il clamore sollevato dalla caccia alle «balene» ha funzionato da grancassa: un anno dopo, le chat Blue Whale sono onnipresenti, ci giocano classi intere. Il numero dei suicidi di minori in Russia resta uno dei più alti al mondo – 720 vittime nel 2016, secondo i dati presentati alla Duma, tre volte sopra la media europea – ma non risulta in aumento per colpa delle chat suicide, anche perché il tasso dei ragazzini che si tolgono la vita è molto più alto nelle province poco digitalizzate. Gli esperti di folclore urbano dell’Istituto delle scienze sociali qualificano Blue Whale come «un nuovo episodio di leggenda metropolitana, generato dalla paura dei genitori di perdere il controllo sui figli».
Potrebbe trattarsi in effetti di un gioco, seppure macabro, come testimoniano i forum degli stessi ragazzi che raccontano di aver falsificato con Photoshop i tagli sulle braccia, o addirittura di aver commesso un «suicidio virtuale» sui social il 50simo giorno, per poi osservare le reazioni da una pagina creata sotto falso nome. Il rischio, come per tutte le attività borderline, e che qualcuno, più debole o sensibile, prenda il «gioco» di Blue Whale troppo sul serio. Ma perfino il Comitato di indagine russo è scettico sull’inserimento di Blue Whale nel codice penale, e teme che il divieto non farà che aumentarne la popolarità.