«Anche io sono un Hongkonghese»

Intervista – L’artista Ai Weiwei, una delle voci più autorevoli del dissenso cinese, risponde alle domande di Tom Grundy e spiega perché sostiene il movimento di protesta dell’ex colonia britannica
/ 19.08.2019

Presentiamo qui di seguito ampi stralci dell’intervista all’artista cinese Ai Weiwei che è stata pubblicata da Hong Kong Free Press, la prima rivista online del territorio finanziata con una sottoscrizione pubblica. L’intervista è stata realizzata dal suo fondatore e direttore Tom Grundy. Hong Kong Free Press è nata nel 2015, sull’onda delle manifestazioni pro-democrazia dell’anno precedente.

Ai Weiwei, 61 anni, è forse l’artista cinese più famoso del mondo. Le sue opere di arte visiva e architettura sono largamente conosciute. Dal 2008, quando si impegnò a difendere i diritti delle popolazioni colpite dal terremoto del Sichuan, è visto come un nemico dal regime cinese. Nel 2011 è stato sequestrato illegalmente dalle autorità per quasi tre mesi. Nei quattro anni successivi è stato tenuto agli arresti domiciliari nella sua residenza alla periferia di Pechino. Dal 2015 vive in Germania ed è una delle voci più autorevoli del dissenso cinese.

Cominciamo con la crisi dei diritti umani nello Xinjiang, dove migliaia di uighuri sono stati imprigionati. Come dovrebbe reagire il mondo?
La crisi dei diritti umani nello Xinjiang non è diversa da qualsiasi altra crisi del genere. Può verificarsi negli Usa, in Europa, Myanmar, Yemen o in qualsiasi altro luogo. La Cina afferma di aver un modello proprio, uno basato su «caratteristiche cinesi». Noi dobbiamo affermare che i diritti umani sono universali. Ogni tentativo di isolare un problema di diritti umani differenziandoli per regione, cultura o politica non è altro che un trucco. Rivendicare «caratteristiche cinesi» è semplicemente un cinico tentativo da parte di Pechino di colpire i diritti umani. Quello che sta succedendo nello Xinjiang ricorda quanto successe durante la Seconda Guerra Mondiale, sia agli ebrei in Europa che agli americani di origine giapponese negli Usa.

I dissidenti cinesi dicono spesso che la Cina sotto Xi Jinping sta diventando più autoritaria. Cosa ne pensi?
La politica della Cina non è cambiata da quando il Partito Comunista Cinese ha instaurato la Repubblica Popolare nel 1949. A volte diventa più estrema, mentre altre volte c’è spazio per la tolleranza. Se la politica cinese è estrema o tollerante dipende dalle condizioni dello stesso Partito. Se è in una situazione di fragilità o di necessità la politica e i metodi di controllo diventano più estremi.
La Cina è come un bambino che è cresciuto troppo senza aver acquisito conoscenza o razionalità. I giudizi della Cina sono spesso incomprensibili. La Cina è anche una nazione che ha mantenuto queste condizioni per un centinaio di anni. L’ unica possibilità che i competitori della Cina hanno per impedirle di diventare una minaccia è di riconoscerla per quello che è e di salvare il futuro della società civile. Il modo nel quale la Cina ha percorso la sua rapida crescita è chiaramente in conflitto con i cosiddetti valori occidentali – i diritti umani che sono stati riconosciuti negli ultimi cento anni e che ci hanno portato al momento attuale, e dei quali anche la Cina ha largamente beneficiato. Però, la Cina non riconosce le norme stabilite e preferisce invece continuare ad usare metodi barbari di governo e controllo e sta diventando una minaccia per tutto il mondo.
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Venendo ad Hong Kong – hai fatto qui molte mostre (nel 2015 e 2018). Secondo te, in questo periodo com’è cambiata la scena artistica locale, in particolare in termini di libertà di espressione?
Ho svolto diverse attività artistiche ad Hong Kong. È una società con un’energia speciale, moderna. Allo stesso tempo, penso che l’arte a Hong Kong debba essere più aggressiva o avere un impatto globale più forte. Hong Kong ancora trae beneficio dal fatto di essere la città più internazionale dell’Asia. Ha una popolazione molto istruita. La città avrebbe bisogno di più arte, che rifletta la sua energia, le sue speranze e la sua immaginazione.

In futuro, avrai preoccupazioni per la tua incolumità visitando Hong Kong?
Sì. Sotto «Un paese, due sistemi», se la gente di Hong Kong non combatte per difendere i suoi diritti, potrebbe facilmente scivolare nella triste condizione nella quale si trovano (la vicina) Shenzhen e tutte le altre città cinesi. Le violazioni dei diritti umani sarebbero diffuse ed incontrollabili. Finirebbe per trovarsi con lo stesso sistema giudiziario corrotto che è sottoposto agli interessi del Partito. Una volta che il sistema giudiziario perde la sua indipendenza, tutto può succedere e nessuno è al sicuro.
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Hai definito le manifestazioni che si sono svolte ad Hong Kong contro la legge sull’estradizione «la più bella protesta del mondo». Perché lo pensi? E vedi all’orizzonte una repressione più severa da parte di Pechino?
La mia impressione di Hong Kong viene da fatti precedenti. Quando fui rilasciato dalla detenzione segreta nel 2011, mi resi conto che la gente di Hong Kong aveva intrapreso grosse iniziative per la mia liberazione. C’erano state molte manifestazioni e alcuni giovani artisti avevano diffuso in tutta la città dei poster col mio nome e la mia foto. C’era anche stata una proiezione della mia foto e del mio nome sull’edificio che ospita la locale guarnigione dell’Esercito di Liberazione Popolare. Furono azioni individuali. Non ho mai saputo chi erano e non hanno mai cercato di entrare in contatto con me. Queste azioni mi hanno commosso profondamente.
Il solo fatto di sapere che i miei valori erano condivisi da altre persone mi ha ricordato che l’umanità esiste anche nelle condizioni più estreme. Questa è una delle ragioni per le quali sostengo i giovani che si stanno esprimendo in questi giorni.
Qualcuno dice che gli hongkonghesi sono molto pratici. Vero, e i diritti umani sono molto pratici. Si tratta di una cosa alla quale tutti teniamo. Ogni notte, abbiamo lo stesso sogno: di vivere come esseri umani liberi piuttosto che vivere sotto una dittatura o la violenza dell’autoritarismo.
Per questo penso che le proteste di Hong Kong siano le più belle. Sono così pacifiche, razionali e coloro che vi prendono parte sono così giovani. Sono molto diverse dalle manifestazioni in altri posti. Queste in genere sono orientate da idee politiche condivise. Ma la gente che marcia per le strade di Hong Kong è per la libertà. È un concetto astratto ma allo stesso tempo riguarda tutti e certamente riguarda i valori che io ritengo più importanti.
In passato ho detto di essere un hongkonghese. Oggi ripeto di essere un hongkonghese. Li ammiro e mi riempie di tristezza il fatto che quattro giovani abbiano già perso la vita (Ai Weiwei si riferisce ai casi dei giovani che si sono suicidati o sono morti in incidenti relativi alla loro attività di protesta. ndr). Loro hanno reso chiaro cosa è in ballo nella lotta di Hong Kong, che la libertà vale quanto la vita stessa e che loro sono pronti a sacrificare le loro vite per dimostrarlo. Nulla potrebbe essere più bello.
Se i giovani di Hong Kong continueranno a protestare la Cina avrà un grosso problema. È una sfida che mette in allarme tutto il resto del mondo su che tipo di società sia la Cina. Se non smettono di protestare la voce democratica diventerà più forte e ci saranno maggiori possibilità per la libertà. Ma come possono fermarli? Hong Kong non è come una qualsiasi città cinese. Se fosse così, i militari sarebbero già intervenuti e avrebbero stroncato la protesta. Non ci sarebbero state una grande copertura dei media e l’attenzione della comunità internazionale. Queste cose succedono spesso in Cina. Hong Kong è diversa. Ha una storia recente di colonia britannica, che si riflette nella sua adesione allo stato di diritto, nella sua magistratura indipendente e nel relativamente ampio spettro di libertà politiche.

Tu sei stato perseguitato per problemi di tasse, credi che nello stesso modo Pechino potrebbe usare la legge sull’estradizione per colpire il dissenso?
Nelle società autoritarie l’eliminazione degli ostacoli e degli avversari è un principio di sopravvivenza profondamente radicato. Non c’ è modo per dimenticare o perdonare chiunque abbia messo in discussione la legittimità (del potere). Non si può discutere con la tigre del colore della sua pelle.

Le proteste di Hong Kong contro l’estradizione hanno dato ai giovani artisti uno spazio per creare arte (…). Perché pensi che la gente sia portata a creare arte nei periodi di crisi?
La libertà di espressione è l’arma più forte per combattere l’autoritarismo. I sostenitori dei regimi autoritari semplicemente non hanno immaginazione e, senza questa, non hanno futuro. Spesso, vediamo anche manifestanti che non hanno immaginazione ma quelli di Hong Kong hanno dimostrato capacità di adattamento. Stanno imparando nel corso della battaglia. Alcune cose si imparano facendole, non c’ è altro modo.
Scorrerà del sangue, come abbiamo visto la scorsa settimana con gli attacchi organizzati dei teppisti in bianco. Il nemico è feroce e userà tutti i mezzi che ritiene necessari per distruggere il movimento. Quindi i manifestanti devono avere non solo chiarezza mentale ma anche una strategia definita. Devono dichiarare apertamente le loro idee e mobilitare la gente ma anche avere delle tattiche efficaci per smascherare le debolezze dei loro avversari. Questa è l’arte del dissenso e un’intera generazione di giovani imparerà da questi avvenimenti, perché hanno di fronte un avversario formidabile.

Introduzione e traduzione dell’intervista dall’inglese di Beniamino Natale