Dicono che il primo passo per la guarigione, sia la consapevolezza. Probabilmente vale anche per la tutela dell’ambiente, la riduzione dell’inquinamento, la diffusione di emissioni climalteranti. Così non si può che accogliere con favore (e anche un po’ di stupore) la notizia che la Nato ha preso consapevolezza che i suoi eserciti inquinano e consumano fonti fossili. E che, assunta questa consapevolezza, abbia annunciato di volerci mettere una pezza, tanto che, nel marzo 2021, i ministri degli esteri dei Paesi Nato hanno approvato un’agenda comune sui cambiamenti climatici e la sicurezza nella quale mostrano di aver compreso l’urgenza di un’azione che, da un lato, mitighi le loro responsabilità rispetto all’inquinamento, dall’altro prevenga ulteriori crisi legate, proprio, alla penuria di materie prime.
Per avere un’idea di quanto concreta e decisiva sia la faccenda basti sapere che, secondo alcuni studi, il solo esercito americano è considerato il singolo più grande consumatore istituzionale di idrocarburi nel mondo, dal momento che le forze armate (americane e Nato, ma in generale del mondo) usano petrolio e combustibili fossili praticamente per tutto, dalla logistica agli aerei, dai tank, alle missioni umanitarie. Le dimensioni sono considerevoli: nel solo 2017, si legge sulla rivista statunitense «Forbes» per esempio, si calcola che l’esercito americano abbia acquistato circa 269’230 barili di petrolio al giorno e, bruciando quei combustibili, abbia emesso più di 25’000 chilotoni di anidride carbonica. Sulla base di questi dati si può dire che il solo esercito degli Stati uniti, se fosse un Paese, sarebbe il 47esimo più grande produttore di gas serra al mondo, collocandosi tra Perù e Portogallo, con 59 milioni tonnellate di Co2. Inferiori, ma non di molto, le emissioni stimate per le forze europee (11 milioni di tonnellate, quanto l’intero Regno unito).
In realtà, al di la di questi numeri, raccolti in buona parte dalla britannica Lancaster University e pubblicati in uno studio del 2019, avere dati precisi su quanto inquinano i singoli eserciti (e per somma quello della Nato) è faccenda piuttosto complicata, sia perché alcune cifre non sono disponibili, poiché protette dalle ragioni di sicurezza che sempre circondano le faccende militari, sia poiché spesso i vertici militari stessi sono piuttosto restii a renderle note. Quel che si può stimare, secondo un report di Scientists for global responsibility, è che complessivamente gli eserciti di tutto il mondo messi insieme e le industrie che forniscono le loro attrezzature potrebbero essere responsabili di circa il 6% di tutte le emissioni globali.
Così, nel valutare l’impatto ambientale di aerei e carri armati, ma anche di voli umanitari e missioni di salvataggio, occorre procedere un po’ a tentoni e ci si fida di quel che dicono pubblicazioni come quella dell’International military council on climate and security («The world climate and security report 2021») che afferma che la difesa rimane il singolo più grande consumatore di idrocarburi nel mondo e che la lunga durata di vita delle attrezzature militari, come le navi da guerra, significa che la difesa conta di fare affidamento sul petrolio per «molti anni a venire».
Proprio per questo mix tra necessità di avere a disposizione enormi quantità di energia e carburante (nel modo più veloce e disponibile che – ancora oggi – esiste, ossia con il petrolio), e attrezzature con una vita lunga (che dunque tendono o tenderanno a diventare energeticamente obsolete), le dichiarazioni di intenti della Nato sono state accolte da un lato con favore, dall’altro con perplessità. Infatti se dovesse dimostrarsi vero che gli eserciti dell’asse atlantico intendono ridurre la loro impronta energetica, il risultato sull’ambiente, sulla qualità dell’aria e sul clima, sarebbe concreto, reale, importante. D’altra parte nessuno, ad oggi, sa davvero né se esista la reale volontà politica di farlo (il che è comunque molto probabile), né se davvero sia possibile, in termini di efficienza logistica, una decarbonizzazione degli eserciti. Allo stesso tempo non si sa né se gli eserciti avranno il modo, il tempo e i soldi per ripensare completamente i loro mezzi e la loro logistica (ipotizzando di intervenire solo su quella e non anche – come pure sarebbe doveroso – sulle armi, proiettili, ogive e simili). Per questo, a questo punto, sul piatto non ci sono altro che una constatazione oggettiva (gli eserciti inquinano, e molto), una dichiarazione di intenti (ci piacerebbe inquinassero meno) e, oltre questo, poco altro. Da qui in poi, da questa presa d’atto, è tutto foglio bianco. Quello che ci si potrà scrivere sopra dipenderà dalle decisioni politiche e concrete di chi le può (o le vuole) prendere.
Anche gli eserciti tra i grandi inquinatori
I Paesi Nato hanno approvato un’agenda per ridurre l’impatto della Difesa sul clima ma rimane ancora tutto da fare
/ 06.12.2021
di Luciana Grosso
di Luciana Grosso