America first, oppure la Cina?

La grande sfida – Quello che sta succedendo intorno al caso Huawei è emblematico e rappresentativo della feroce competizione fra Cina e Stati Uniti per l’egemonia globale
/ 27.05.2019
di Christian Rocca

I telefonini Huawei non potranno più contare sui servizi integrati del sistema operativo di Google, Android, ovvero su Gmail, Google map, YouTube e l’app store Google Play, per effetto di un ordine esecutivo di Donald Trump che vieta alle aziende tecnologiche americane, quale è Google, di avere rapporti e di scambiare tecnologia con Huawei, ritenuta dalla Casa Bianca una società che fa spionaggio e i cui prodotti costituiscono una minaccia per la sicurezza nazionale americana. L’impatto economico sulle vendite e sui bilanci del secondo produttore mondiale di smartphone, dopo Samsung e prima di Apple, sarà notevole, ma la decisione avrà un effetto a cascata anche per le aziende della Silicon Valley visto che i chips e i software che tengono in piedi i sistemi informatici cinesi sono di progettazione americana e le relazioni finanziarie tra le società tecnologiche cinesi e gli investimenti americani, e viceversa, sono difficilmente districabili.

È «un nuovo tipo di guerra fredda», ha titolato in copertina l’«Economist». È «una guerra fredda tecnologica», ha scritto il «New York Times». Quello che sta succedendo tra gli Stati Uniti e la Cina intorno alle diatribe sui rapporti commerciali e sull’innovazione tecnologica è l’accelerazione della grande sfida dei due paesi per l’egemonia globale. L’America, scrive l’«Economist», vuole che la Cina si pieghi all’ordine mondiale decretato da Washington; la Cina pretende che l’America le lasci il passo nel Pacifico, in Africa e in Europa. L’America accusa la Cina di barare nei rapporti commerciali e di copiare la tecnologia americana; Pechino vuole essere libera di costruire il nuovo sistema di telecomunicazioni 5g che, secondo le critiche americane, metterà il mondo sotto il controllo e la vigilanza del regime cinese.

America e Cina si sentono insicure, alimentano febbrilmente le provocazioni e ora il rischio che il conflitto diventi irreversibile è oltre i livelli di guardia, in particolare con Donald Trump e Xi Jinping al potere, anche se resta attenuato dal fatto che l’interscambio commerciale tra le due nazioni è di due miliardi di dollari al giorno e quindi per entrambi poco conveniente rinunciarvi.

La tentazione della Casa Bianca, però, è quella di isolare la Cina, la quale si è già protetta tecnologicamente da una cortina di ferro digitale costruita in tempi non sospetti dalle autorità di Pechino per mantenere il controllo sulla popolazione ed evitare la contaminazione democratica e occidentale. In Cina, infatti, è impedito l’accesso a Google, Facebook e YouTube, sostituite da piattaforme simili controllate dal governo. La decisione americana su Huawei non ha effetti diretti, dunque, sui consumatori cinesi né su quelli negli Stati Uniti, dove dal 2018 è stata interrotta la vendita dei telefoni Huawei, ma ha un impatto sul business europeo e asiatico del colosso cinese.

Nello specifico, dopo l’ordine esecutivo di Trump, Google ha dovuto interrompere i rapporti con Huawei e sospendere l’uso della licenza Android. Huawei potrà continuare a usare la versione base, open source, di Android, senza i prodotti di Google preinstallati e senza gli aggiornamenti del sistema operativo. Il dipartimento del Commercio di Washington, una volta che Google ha interrotto i rapporti, ha emesso una licenza temporanea che consentirà a Huawei di continuare a inviare aggiornamenti e fornire assistenza a chi possiede già i suoi smartphone. È una soluzione ponte che scadrà il 19 agosto e che non vale per i device non ancora venduti.

Da qui al 19 agosto, e poi anche dopo, potrebbe succedere qualsiasi cosa, sia una soluzione della crisi sia un ulteriore inasprimento dei rapporti tra Washington e Pechino. Le scelte di Trump sono difficilmente prevedibili perché non sono dettate da una dottrina coerente, se non quella di un vago nazionalismo da contrapporre al protezionismo cinese, ma semplicemente dalla volontà di acquisire un vantaggio competitivo da poter sbandierare come una vittoria epocale agli elettori americani in vista del voto del 2020 dove si giocherà la riconferma alla Casa Bianca.

La tattica di Trump è quasi sempre la stessa, formulata nel suo libro The art of the deal, ed è caratterizzata dalla necessità di alzare la posta e di forzare il più possibile la mano in modo da ottenere al momento giusto un accordo il più favorevole possibile. La geopolitica, però, non è l’edilizia e i cinesi sono abili e tosti negoziatori che, peraltro, possono contare sullo sfaldamento del tradizionale sistema occidentale di alleanze, trattati, istituzioni e norme costruito dopo la Seconda guerra mondiale che inopinatamente Trump ha contribuito a indebolire, assestando colpi di ogni tipo agli alleati europei e asiatici, e spesso lasciandoli alla mercé dell’espansionismo cinese, quando, invece, proprio adesso gli sarebbe tornato molto utile per contenere i progetti egemonici e i sogni di Grandezza Nazionale del Partito comunista cinese.