Pare un ricordo sbiadito la cool Britannia (letteralmente Gran Bretagna alla moda, attraente, «ganza»), quando Londra – sulla scia del boom economico a cavallo tra fine anni Novanta e il primo lustro del nuovo Millennio – era diventata la città prediletta dove vivere per europei con ambizioni professionali e aspirazioni internazionali, americani attratti dal richiamo della vecchia madrepatria e cosmopoliti sedotti dal fascino della capitale simbolo della globalizzazione. È cambiato il tessuto demografico, contraddistinto da un’immigrazione sempre più asiatica, indiana e medio-orientale e sempre meno occidentale. È cambiata la mentalità, più nazionalista e meno aperta all’accoglienza. È cambiata la qualità della vita. In peggio, purtroppo. Lo confermano anche gli ultimi dati dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Ocse), secondo i quali l’economia del Regno Unito si è contratta dello 0,2% nel terzo quadrimestre del 2022. Solo il Giappone, fra i G7, ha fatto peggio. La Gran Bretagna – ormai ufficialmente in recessione – è anche l’unico fra i paesi più industrializzati del mondo a non avere ancora riacquisito la dimensione pre-Covid: il suo prodotto interno lordo è dello 0,4% inferiore rispetto a quello della fine del 2019 e il solo con il segno meno davanti.
Venti di crisi soffiano ovunque sull’onda dell’aumento del costo dell’energia e dell’inflazione, tuttavia nel Regno Unito la crescita e la spirale inflazionistica che lo attanaglia sono peggio che in molte altre nazioni. Il prezzo degli alimentari ha registrato +14,7% lo scorso mese: di questo passo fare la spesa potrebbe costare così circa 680 sterline in più all’anno (770 franchi). Secondo la società di ricerche di mercato Kantar, oltre un quarto delle famiglie britanniche (il 27%) ormai fa fatica ad arrivare alla fine del mese, ovvero il doppio rispetto a un anno fa. L’impennata degli alimentari, unita a quella del costo dell’energia e al crollo delle prenotazioni, ha anche provocato la chiusura di molti ristoranti: +60% fra 2021 e 2022 rispetto al 2020-21.
Intanto un’ondata di scioperi ha travolto il Regno, con decine di migliaia di lavoratori che hanno incrociato le braccia contro il mancato adeguamento degli stipendi al caro vita. E molti altri scioperi sono annunciati pure nelIe settimane a venire. Le conseguenze? Traffico bloccato, trasporti pubblici inaffidabili, bidoni della spazzatura traboccanti, servizi postali a singhiozzo. Per non parlare dell’NHS, il servizio sanitario pubblico, ormai affetto da una carenza cronica di personale. Le liste di attesa per visite non urgenti sono interminabili e anche quelle per le patologie più gravi, come il cancro, si sono notevolmente allungate. Negli ultimi quattro anni, fra Inghilterra, Scozia e Irlanda del Nord, sono 69mila i malati di tumore che hanno atteso oltre la scadenza limite dei 62 giorni per iniziare le cure, ovvero un numero doppio rispetto a prima. «L’NHS non ha il personale necessario per diagnosticare il cancro, effettuare gli interventi, somministrare le cure e offrire supporto e riabilitazione», ha dichiarato alla «BBC» Steven McIntosh dell’associazione contro il cancro Macmillan Cancer Support. Non a caso il tasso di sopravvivenza dei pazienti oncologici in Gran Bretagna è più basso rispetto ad altri Paesi, come ad esempio la Svizzera o l’Italia.
Il problema della carenza di personale non riguarda solo il servizio sanitario, ma affligge anche altri settori. Le cause? Sono varie. Rispetto a prima della pandemia ci sono 600mila persone in meno nella forza lavoro, non solo perché i lavoratori stranieri sono andati via via diminuendo (mezzo milione in meno rispetto a prima del referendum del 2016 sull’uscita dall’Ue), ma anche perché molti hanno lasciato l’impiego per malattie di lungo corso. Soprattutto fra i più giovani. Non solo per il cosiddetto «long Covid», visto che il trend era cominciato già prima della pandemia, ma principalmente per motivi di salute mentale. Secondo l’ONS – l’Ufficio nazionale di statistica britannico – il ritiro dal mercato del lavoro riguarda in particolare la fascia compresa fra i 25 e i 34 anni (+42% negli ultimi 3 anni) e i lavoratori di sesso maschile.
La generalizzata insufficienza di organico, soprattutto nel settore pubblico, e il mancato adeguamento di stipendi e pensioni al livello dell’inflazione, ha spinto i sindacati a organizzare scioperi a tappeto a un ritmo che non si vedeva dai tempi di Margaret Thatcher. Il deterioramento dei servizi pubblici pertanto è stato palpabile. Entro la fine dell’anno si asterranno dal lavoro gli infermieri. Si tratta del primo sciopero della categoria nei 100 anni di storia del Royal College of Nursing, il più grande sindacato di infermieri del mondo. Lo stop tuttavia non dovrebbe impattare i pronto-soccorso e i servizi di emergenza. Il personale delle ferrovie britanniche ha incrociato le braccia già svariate volte dallo scorso giugno e ulteriori disagi sono previsti durante le vacanze natalizie e nei prossimi mesi. Lo stesso dicasi per i lavoratori portuali. Anche i conducenti di autobus e gli addetti della metropolitana di Londra hanno annunciato scioperi, nonché i servizi postali. I dipendenti di Royal Mail, infatti, hanno indetto 10 giorni di stop prima di Natale. In subbuglio pure il personale universitario e il corpo docente delle scuole dell’obbligo: i rispettivi sindacati stanno valutando azioni di protesta.
Intanto, secondo l’Office for Budget Responsibility – ente di sorveglianza istituito nel 2010 per monitorare le finanze pubbliche – il reddito disponibile delle famiglie nei prossimi due anni scenderà del 7%, spazzando via 10 anni di crescita in termini di qualità della vita e riportando nel 2024 il Regno Unito ai livelli del 2014. La recessione appena iniziata si protrarrà fino alla fine del prossimo anno, contraendo l’economia di un ulteriore 1,4% nel 2023. Con un buco nelle casse dello Stato di circa 60 miliardi di sterline provocato in buona misura dalla disastrosa politica economica del precedente governo guidato da Liz Truss, il Cancelliere dello Scacchiere Jeremy Hunt è dovuto correre ai ripari, mettendo in campo una manovra economica di 55 miliardi di sterline fra tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse. Salvo la sanità e l’istruzione, l’accetta calerà su tutti gli altri comparti di spesa, mentre l’inasprimento delle tasse colpirà soprattutto il già martoriato ceto medio.