Affari «in quarantena»

Lockdown - Quanto più perdura la pandemia, l’obbligo di auto-isolamento rischia di compromettere l’economia
/ 05.10.2020
di Edoardo Beretta

Durante i lockdown per SARS-CoV-19 si è da più parti sottolineato come ragioni di convenienza economica non potessero essere anteposte a quelle di opportunità sanitaria. Su questo non vi può essere margine di discussione, avendo la salvaguardia della salute individuale e pubblica sempre la priorità. Il protrarsi della pandemia (di commercializzazione di vaccini si parla ancora troppo poco, sebbene come scrivevo in «Azione 30» del 2020, la presente non sia una «nuova normalità» quanto piuttosto solo un’«anormalità» su cui non ci si può adagiare) impone però una riflessione su come meglio conciliare aspetti economici.

Ciò nella consapevolezza che: 1) ragioni sanitarie abbiano la priorità e 2) la situazione economica globale del 2020 e di gran parte del 2021 sia ormai compromessa con previsioni (ottimistiche) di decrescita globale da parte del FMI pari ad almeno il –4,9% nell’anno corrente. Se ho già argomentato in «Azione 27» del 2020 che lo smartworking sia stata la vera (ri)scoperta da non accantonare a crisi finita, si sta profilando un nuovo trend che mal si concilia con tentativi di attenuazione del crollo economico: l’imposizione di periodi di quarantena obbligatoria nel passaggio (o rientro) da una nazione ad un’altra.

Ha fatto discutere la decisione del Regno Unito di stralciare la Francia dalle nazioni di provenienza esonerate dall’obbligo di auto-isolamento. Pertanto, l’arrivo in esso prevede oggigiorno l’impossibilità di abbandonare il luogo di soggiorno (ad esempio, la propria residenza, ma anche l’albergo di permanenza etc.) per 14 giorni, a meno che non si provenga da un elenco di Paesi in costante aggiornamento. Inutile dire che la Francia intenda ora fare altrettanto, approccio che ricorda le misure ritorsive tipiche delle guerre commerciali, ma anche i raffreddamenti nei rapporti geopolitici. Anche in Svizzera la situazione non pare dissimile, avendo il Consiglio federale introdotto dal 6 luglio 2020 l’obbligo di quarantena (indipendentemente dall’effettivo stato di salute) per 10 giorni per chi entri nel territorio da determinate nazioni e regioni a rischio.

Se si esaminano i dati (che escludono i passeggeri in transito sul territorio elvetico che abbiano soggiornato in una delle nazioni o regioni a rischio per meno di 24 ore) del 19 agosto 2020, vi erano ben 21’546 persone in quarantena dopo l’entrata in Svizzera. Ipotizzando (per eccesso) che si tratti di individui in età lavorativa ed occupati e considerando che il PIL reale pro capite svizzero corrispondeva nel 2018 a 80’986 CHF (Nota 1), si sta parlando di circa 47’806’147 CHF (Nota 2) di PIL svizzero immobilizzato per il periodo complessivo di quarantena.

Se per la macroeconomia rossocrociata tale ammontare (ora diminuito per i minori rientri dall’estero) può sembrare relativamente significativo, esso è suscettibile di forti incrementi qualora altri Paesi dovessero essere inclusi (sebbene si siano recentemente smentiti automatismi una volta sforato dai parametri, correndo così ai ripari dal cul-de-sac in cui l’approccio di cui sopra può sfociare). Inoltre, se è vero che il datore di lavoro continuerebbe a remunerare il lavoratore inviato per motivi professionali in regioni a rischio  oppure se fosse possibile praticare il telelavoro, vi sono casistiche (limitate) in cui esiste il  diritto a indennità per perdita di guadagno a carico all’AVS. Rimane poi da verificare come regolarsi nel caso che vi siano professionalità non praticabili da remoto.

Utile nel caso svizzero (dove «un risultato negativo del test non esenta dall’obbligo di quarantena e non ne riduce la durata» (Nota 3) potrebbe essere l’approccio tedesco (ma anche italiano), in base a cui i viaggiatori da luoghi a rischio sono obbligati a sottoporsi a test rapidi. Lo scopo è accelerare il rientro alla normalità lavorativa ed evitare di «quarantenare» migliaia di persone potenzialmente non contagiate. L’obbligo di effettuazione di tampone (cioè di test PCR che individua un’infezione acuta da Coronavirus) presso un laboratorio svizzero – a carico, però, del viaggiatore al fine di evitare comportamenti di moral hazard, cioè di esposizione ingiustificata al rischio – trasmesso alle autorità sanitarie entro un certo numero di ore dall’arrivo, potrebbe essere una soluzione praticabile e già praticata.

Perché qualsiasi forma di quarantena se evitabile è veleno per l’economia. In particolare, quella parte non digitalizzata e più fragile, in quanto il viaggiatore-consumatore sarebbe impossibilitato a lasciare il domicilio. Se sull’(in)opportunità di viaggi non necessari in regioni a rischio si può discutere, tale libera scelta non deve ricadere sulla collettività nel suo complesso. In una situazione mondialmente riconosciuta quale complessa sono piccole gocce: tuttavia, come si dice, «tanti pochi fanno assai».

Note

1) http://www.bfs.admin.ch/bfs.de/home/statistiken/querschnittsthemen/wohlfahrtsmessung/alle-indikatoren/wirtschaft/reales-bip-pro-kopf.assetdetail.9486254.html.
2) Tale stima deriva dal PIL reale pro capite svizzero (2018) giornaliero pari a circa 221,63 CHF. moltiplicato per i 10 giorni di quarantena obbligatoria oltre che per le persone (21.546) sottoposte a tale misura preventiva.
3) http://www.bag.admin.ch/bag/it/home/krankheiten/ausbrueche-epidemien-pandemien/aktuelle-ausbrueche-epidemien/novel-cov/empfehlungen-fuer-reisende/quarantaene-einreisende.html.