Adiós Comandante Uno

Nicaragua - Morto in cella Hugo Torres, il guerrigliero sandinista che salvò la vita ad Ortega
/ 21.02.2022
di Angelo Nocioni

«Ho rischiato la mia vita, quarantasei anni fa, per liberare dal carcere Daniel Ortega e altri nostri compagni detenuti politici. Così sono le giravolte della vita, quelli che allora scelsero di battersi per dei princìpi, li hanno traditi. Il regime di Ortega oggi è peggiore di quello di Somoza allora». Lo dice con voce calma in un video registrato otto mesi fa, poco prima di essere arrestato dalla polizia speciale nicaraguense, Hugo Torres, il Comandante Uno, generale storico della rivoluzione sandinista, morto il 12 febbraio da detenuto politico nel centro di tortura di El Chipote a Managua.

Daniel Ortega ha arrestato e fatto morire in cella, senza processo, a 73 anni, l’uomo che gli salvò la vita e senza il quale la rivoluzione sandinista (1985-1990) di cui Ortega fu il capo politico mai avrebbe preso il potere.

Torres è il primo detenuto politico, tra quelli di cui si conosce l’identità, a morire nelle celle di regime di Ortega che, da quando è tornato nel 2007 tramite elezioni a capo del Paese, ha instaurato una dittatura atroce coperta formalmente dal voto popolare al quale gli avversari non possono partecipare perché preventivamente sbattuti in galera.

Torres era stato portato via dalla sua cella il 17 dicembre scorso con un’infezione alle gambe che non gli consentiva più d’alzarsi – hanno fatto sapere alla famiglia altri detenuti – ed è morto in ospedale senza che i figli riuscissero a sapere dove fosse, se non in punto di morte. Dopo esser stato capo della direzione politica dell’esercito sandinista durante la rivoluzione fino al 1990, da Ortega tornato al potere non ha accettato né incarichi, né privilegi.

Il Comandante Uno è figura leggendaria del sandinismo. Fu l’unico guerrigliero a partecipare, dirigendole tra l’altro, alle due principali operazioni militari che permisero al Fronte sandinista di liberazione nazionale di travolgere la dittatura di Somoza. La prima è un evento rimasto insuperato per spettacolarità delle insurrezioni latinoamericane, la «Operación Diciembre victorioso»: l’assalto alla villa di José Maria Castillo, amico di Somoza, dove era in corso una festa di alti funzionari del regime, sequestrati e liberati alla vigilia di Natale del 1974 in cambio della scarcerazione di tutti i detenuti politici, tra loro Daniel Ortega, messi su un aereo diretto all’Avana dove furono ricevuti come eroi e protetti in esilio fino a che tornarono a Managua per travolgere definitivamente Somoza.

La seconda è l’Operación Canchera, l’assalto al Palacio nacional nel 1978 raccontato nei dettagli da una cronaca di Gabriel Garcia Márquez per l’agenzia spagnola Efe che comincia così: «Il piano sembrava una pazzia. Si trattava di prendere il Palazzo nazionale di Managua in pieno giorno e con solo 25 uomini, sequestrare i membri della Camera dei deputati e ottenere come riscatto la liberazione dei prigionieri politici. Oltre al Senato al primo piano e la Camera dei deputati al secondo, lì stanno il ministero dell’industria, l’ufficio di governo e la direzione generale delle entrate, si tratta cioè del più importante e più popoloso di tutti gli edifici pubblici di Managua. Per questa ragione c’è sempre un poliziotto armato di mitragliatrice ad ogni porta, ci sono altre due guardie nelle scale del secondo piano e numerosi pistoleros di ministri e parlamentari per ogni dove. In orario d’ufficio, tra impiegati e pubblico, tra solai, uffici e corridoi ci sono almeno tremila persone. Eppure la direzione del Fronte sandinista di liberazione nazionale non ha considerato che l’assalto di quel mercato burocratico fosse, in realtà, una pazzia, ma tutto il contrario: un azzardo magistrale».

Dell’aura rivoluzionaria che copriva le operazioni antisomoziste di allora non è rimasto nulla neanche agli occhi dei vecchi guerriglieri, ormai quasi tutti contrari al regime (o esiliati o in cella) e la violenza di cui il sandinismo si servì per abbattere la dittatura è ora l’architrave che regge il regime di Ortega. Nonostante l’abitudine al sopruso, l’opinione pubblica in Nicaragua sembra scossa dalla clamorosa notizia della morte in cella di Hugo Torres. C’è chi giura sia questo il passo falso di Ortega. Ma un ex militare dice a «El Confidencial», sito di dissidenti che il regime non è ancora riuscito ad oscurare: «Nonostante già il solo arresto del Comandante Uno abbia avuto una grande risonanza e creato un notevole malessere nell’esercito, il messaggio inviato da Ortega con la morte in cella di Torres a tutto il sandinismo e ai critici occulti nascosti nelle file dei ministeri chiave della Difesa e degli Interni è che nessuno può considerarsi al riparo dalla ferocia del governo. È un messaggio di odio. Non folle: è funzionale al terrore che vogliono imporre».