Aborto, abrogato il divieto

Cile – I giudici hanno dato l’ok alla nuova legge approvata dal parlamento il 2 agosto scorso. Si potrà interrompere la gravidanza solo in tre casi particolari. La presidente Bachelet su Twitter: «Giorno storico»
/ 18.09.2017
di Angela Nocioni

Emendata dopo decenni, e solo in parte, la legge voluta dal dittatore Augusto Pinochet che vietava l’aborto in qualsiasi circostanza, compreso l’aborto terapeutico, compresi i casi di rischio di vita per la madre. La Corte Costituzionale del Cile ha dato il suo via libera alla parziale depenalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza respingendo il ricorso presentato dalle opposizioni di destra con sei voti contro quattro.

La nuova legge consente l’aborto solo in tre circostanze: in caso di rischio provato per la vita della donna, in caso di difetti congeniti nel feto tali da causarne la morte e in caso di stupro. Previsti ampi margini per l’obiezione di coscienza: qualsiasi medico o infermiere potrà rifiutarsi di eseguire un’interruzione di gravidanza.

In Cile partoriscono quasi 40 mila adolescenti ogni anno. Secondo i dati ufficiali dell’anagrafe, nel 2015 hanno partorito 166 bambine tra gli 11 e i 13 anni. «La maggior parte di queste gestazioni è frutto di stupri, l’89% delle violenze sessuali avviene in famiglia» segnala Claudia Denis, direttrice della Ong Miles Chile.

Aggiunge la scrittrice Isabel Allende che si è a lungo battuta per la depenalizzazione: «Ovviamente, donne e bambine con la possibilità di avere accesso al denaro possono procurarsi anticoncezionali orali o possono riuscire ad abortire in maniera discreta. L’interruzione di gravidanza in molte cliniche è mascherata sotto il nome di un altro tipo di intervento ostetrico. È soltanto questione di soldi». «Nelle zone rurali – continua – questa opzione non esiste. Per esempio nel 2013 a Belén a una bambina di 11 anni, violentata dall’uomo di sua madre, è stato vietato l’aborto. Non c’è stato aiuto per Belèn, una bambina obbligata ad avere un bambino. Questo di sicuro non succederebbe alla figlia o alla nipote di uno qualsiasi dei membri del Senato che non vogliono votare la legalizzazione dell’aborto in caso di stupro».

In Cile il diritto all’aborto terapeutico esisteva dal 1931. Sei mesi prima che finisse la dittatura di Pinochet, nel settembre del 1989, fu deciso per decreto: «Non potrà essere posta in essere nessuna azione il cui fine sia provocare un aborto».

La magistratura è molto attiva tuttora nel perseguire penalmente chi viola il divieto. Mancano dati recenti aggiornati, ma tra il 2010 e il 2014 sono state processate 182 donne e 89 uomini per non aver rispettato la norma. Nel 2012 c’erano ancora 221 cilene in prigione per questa ragione.

Il divieto assoluto d’aborto ha fatto ovviamente fiorire il mercato degli aborti clandestini. È molto difficile quantificare il numero delle interruzioni clandestine di gravidanze, ma i principali centri per i diritti umani locali stimano ci siano tra i 140 mila e i 160 mila aborti clandestini all’anno in Cile, la maggior parte dei quali realizzati in condizioni igienico–sanitarie precarie e con gravi rischi per le donne.

Isabel Allende ha portato a testimoniare davanti alla Commissione interamericana per i diritti umani Paola Valenzuela, 42 anni, sposata , madre di una tredicenne, obbligata dai servizi sanitari pubblici a portare avanti una gravidanza nonostante il feto presentasse gravi malformazioni. I medici le dicevano: «Cara, devi solo pregare Dio perché tutto vada bene». Il feto è morto alla ventiduesima settimana di gestazione. Paola Valenzuela ha detto davanti alla Commissione: «L’ho portato al cimitero. Dopo tutto quello che mi avevano fatto, per lo Stato cileno mio figlio era solo un N.N. Se sono venuta qui a raccontare questa storia è perché nessuna altra donna passi attraverso questo dolore».

Nel 2006, al debutto del primo governo di Michelle Bachelet (centrosinistra), fu sufficiente il solo annuncio della distribuzione gratuita nei consultori pubblici della pillola del giorno dopo (la cui assunzione impedisce l’annidamento di un ovulo eventualmente fecondato – non si tratta quindi di una pillola abortiva) perché sulla allora neopresidente si abbattesse una tempesta.

L’opposizione di destra, uscita sconfitta e divisa dalle elezioni, trovò nell’opposizione alla pillola la forza di superare ogni malumore interno per accusare in coro la Bachelet di «cinismo, utilitarismo, indifferenza alla pubblica morale».

La Chiesa cattolica gridò al «pericolo dello Stato autoritario» e la Corte d’appello di Santiago, roccaforte conservatrice, riuscì a far slittare la data per l’entrata in vigore della nuova misura.

Lo scontro culturale e politico fu così forte che la Democrazia cristiana, alleata stabile dei socialisti nella coalizione di governo Concertaciòn, minacciò di togliere l’appoggio alla presidente. Il cardinale Jorge Medina definì la misura «un crimine nefasto». Una deputata dell’opposizione di destra, Maria Angelica Cristi, dichiarò che la presidente voleva «promuovere il libertinaggio». Carlos Olivares, parlamentare democristiano, assicurò che «bombardare le donne di ormoni è un delitto» e un buon numero di sindaci conservatori si dissero pronti a impedire la distribuzione del farmaco per timore di «un’esplosione dell’Aids». Le polemiche sulla pillola del giorno dopo furono la fessura attraverso cui non solo l’opposizione, ma anche le frange conservatrici del governo tentarono di infilarsi per mettere in crisi la tenuta della leadership personale di Michelle Bachelet. Tanto che Soledad Alvear, leader della Dc e teoricamente alleata della presidente, si schierò apertamente contro la distribuzione della pillola tuonando contro «l’immoralità dei costumi».