Primavera silenziosa, Silent Spring, Der stumme Frühling, Printemps silencieux. Non conosce frontiere linguistiche il libro della biologa americana Rachel Carson che diede il via al movimento ambientalista. Quel saggio compie sessant’anni e davvero non li dimostra. In patria e altrove continua a lanciare il suo grido d’allarme contro l’uso scriteriato dei fitofarmaci in agricoltura, più in generale contro tutte le offese inflitte all’ambiente da uno sviluppo dominato dalla ricerca del profitto fine a sé stesso. Quello stesso grido che nel 1962, quando Silent Spring comparve nelle librerie americane, colse di sorpresa gli avvelenatori del pianeta denunciando gli effetti perversi della chimica applicata alle coltivazioni, in particolare la lotta contro gli insetti infestanti attraverso l’uso incontrollato del DDT.
Aggredita da un tumore, Rachel Carson morì non ancora cinquantasettenne due anni dopo la comparsa del suo bestseller, e dunque non poté assaporarne il frutto più prezioso, la messa al bando del DDT da parte degli Stati Uniti che fu decisa all’inizio degli anni Settanta. Cioè un quarto di secolo dopo il Nobel per la medicina allo scienziato svizzero Paul Hermann Müller, premiato per averne scoperto le proprietà come insetticida: con pieno merito del resto, visto il suo ruolo nella lotta contro la malaria e altre patologie epidemiche.
La fine del DDT come fitofarmaco fu l’esito di un duello fra la nascente opinione ecologista e la resistenza delle grandi industrie chimiche e agro-alimentari. Prima di raggiungere la fama l’autrice di Silent Spring aveva insegnato zoologia alla Johns Hopkins e all’Università del Maryland, aveva iniziato un lavoro d’informazione al dipartimento della pesca, aveva denunciato i flussi provenienti dai campi di sostanze che intossicavano le acque, aveva dato alle stampe opere come la celebre trilogia del mare: Under the Sea Wind, The Sea Around Us (pubblicato anche in italiano: Il mare intorno a noi) e The Edge of the Sea. Quando comparve Silent Spring fu investita da una valanga di critiche, tacciata di superficialità e approssimazione, addirittura di comunismo, un’accusa che nell’America di allora poteva costare molto cara. Aveva gettato un sasso in uno stagno rabbiosamente reattivo.
La biologa ricorda nel suo saggio che le monocolture hanno moltiplicato i parassiti delle piante coltivate, e che negli anni Quaranta si cominciarono a usare antiparassitari sintetici, che si rivelarono tossici non soltanto per gli insetti presi di mira in quanto nocivi ma anche per quelli utili. Dai terreni queste sostanze si riversano nei fiumi, nei laghi e nel mare andando a compromettere la catena alimentare della fauna acquatica. Cause ed effetti si rincorrono creando effetti diabolici, come la strage dei pettirossi che si registrava in quegli anni in America. A ucciderli erano le conseguenze della disinfestazione con il DDT dell’olmo bianco minacciato da certi coleotteri. I pettirossi si nutrivano di lombrichi che basavano la loro dieta sulle foglie cadute dagli olmi, impregnate di veleno.
Ben poco interessata alla sorte dei pettirossi, l’industria coinvolta si difese deridendo l’autrice di Silent Spring e dichiarandola incompetente, visto che le sue specialità erano la zoologia e la biologia marina, ma non la biochimica. Si sventolavano studi e ricerche compiacenti, volti a dimostrare che la clamorosa denuncia non era che la fantasia di una bird-watcher prevenuta e in malafede. Il fatto stesso di essere donna la rendeva un facile bersaglio per chi condiva le critiche con un tocco di oscurantismo. Tuttavia il libro ebbe un enorme successo, promuovendo un’adesione di massa alle ragioni della denuncia e assicurando all’autrice risorse finanziarie che le permisero, nel poco tempo che le restò da vivere, di fare a meno del lavoro al dipartimento della pesca per concentrarsi sulla ricerca.
Rachel Carson ha il merito storico di avere sconvolto il tradizionale ordine delle priorità collocando la sostenibilità ambientale davanti allo sviluppo, innalzando i maltrattamenti del pianeta al livello di grande questione popolare profondamente sentita in ogni parte del mondo. Come più tardi Naomi Klein con la sua critica della globalizzazione sfrenata o Al Gore con la grande campagna ecologista che lo premiò con il Nobel per la pace, la sua lezione è fra gli elementi fondanti della moderna coscienza ambientalista.
Per questo Silent Spring, anche se il DDT è quasi scomparso (ma non senza che dopo la messa al bando ingenti scorte ne venissero rifilate a quello che allora si chiamava Terzo Mondo) rimane di stretta attualità. In nome dei livelli di produzione l’agricoltura continua a impiegare sostanze chimiche dagli effetti sconosciuti, quando non chiaramente dannosi. Per non parlare delle modificazioni genetiche, invocate in tempi di crisi come l’attuale per fronteggiare la crescente domanda mondiale di cibo.
Le posizioni della studiosa americana, serene ed equilibrate, non la collocano certo fra gli esagitati dell’ecologismo militante come volevano i suoi detrattori. Il suo è un invito al buonsenso. Non chiede di fare a meno dei fitofarmaci ma semplicemente di farne un uso ragionevole. Quanto basterebbe per salvare gli organismi che popolano la Terra, noi compresi, per far sì che la primavera conservi quel suo fascino fatto di profumi e di suoni: il cinguettio degli uccelli, il ronzio degli insetti. Per non condannarla al drammatico silenzio evocato da quel titolo amaro e suggestivo.