Il primo delegato alla Cooperazione e sviluppo economico era stato nominato dal Consiglio federale nel 1961. La Svizzera è dunque attiva in questo settore da oltre 60 anni. Infatti, l’aiuto ai paesi in via di sviluppo era già cominciato da qualche anno, essenzialmente con aiuti mirati, soprattutto nel settore dell’allevamento del bestiame in paesi come l’India, la Tanzania o il Perù.
Da allora, quella che è diventata ufficialmente la Direzione per lo sviluppo e la cooperazione (DSC) ha visto un crescente volume dei mezzi a disposizione. Dal 1961 fino al 2020 ha quindi stanziato, solo attraverso organizzazioni di aiuto, ben 24 miliardi di franchi in forma bilaterale. A questa cifra vanno poi aggiunte le somme versate attraverso organizzazioni multilaterali di aiuto. La lista dei paesi che ne hanno beneficiato è molto lunga e, spesso, l’intervento ha avuto un innegabile successo.
È però difficile valutare l’effetto complessivo, poiché le forme di aiuto sono molto differenziate. Spesso si è trattato, per esempio, dell’aiuto alla lotta contro la povertà sul posto. Evidentemente la Svizzera ha avuto una partecipazione importante, ma non tale da poter indirizzare l’aiuto internazionale verso obiettivi ben precisi. Molti paesi hanno invece usato lo strumento della cooperazione per fini politici, sfociati per esempio nel mantenimento al potere di dittatori locali e nella lotta al comunismo.
Solo dopo la fine della cosiddetta «guerra fredda», l’aiuto allo sviluppo prese una direzione più consona ai suoi scopi. Anche la Svizzera poté quindi partecipare ad azioni di promozione della democrazia, dei diritti umani e della società civile. Così anche i mezzi finanziari a disposizione poterono venir usati con miglior successo. Dalla metà degli anni Novanta, anche la DSC cominciò a valutare l’efficacia dei suoi interventi, sulla base di una valutazione sistematica dei progetti e della loro indipendenza. Dal 1993 al 2008, a capo della DSC fu Walter Fust, considerato uno dei capi ufficio più influenti a Berna.
Tuttavia, in Parlamento e anche fuori, l’operare della DSC solleva spesso critiche e perplessità. Molti avrebbero voluto vedere i risultati concreti di operazioni all’estero che costavano ogni anno milioni di franchi al contribuente svizzero. Tuttavia anche con Walter Fust le risposte a queste domande non erano sempre soddisfacenti. Solo con l’inizio del nuovo secolo si cominciarono a ottenere risposte più concrete. La situazione migliorò nettamente quando la DSC fece allestire tra 50 e 90 valutazioni indipendenti dei progetti per ogni anno. Per finire, anche la stessa OCSE espresse apprezzamenti positivi per la «cultura orientata ai risultati» della Svizzera. La Svizzera non ha, infatti, mai avuto mire politiche nelle sue operazioni di aiuto allo sviluppo e cooperazione.
Anche i risultati ottenuti dall’aiuto svizzero sono stati apprezzati nel contesto preciso. Tra il 2017 e il 2020, la DSC può dire di aver aiutato nove milioni di persone per una formazione di base o per una formazione professionale. In una dichiarazione alla «Neue Zürcher Zeitung», Peter Niggli, già direttore dell’Organizzazione di politica dello sviluppo Alliance Sud ha detto che non è per niente facile misurare l’efficacia delle misure di aiuto allo sviluppo.
Se da un lato è facile contare, per esempio, i beneficiari di un impianto di acqua potabile, dall’altro è molto difficile valutare gli effetti a lunga scadenza di un progetto per lo sviluppo di una comunità in una regione o in un intero paese. Tanto più difficile è valutare l’efficacia dell’intervento: la DSC, per esempio, in Bangladesh favorisce lo sviluppo della società civile, o la costituzione di organizzazioni di contadini o di donne.
Del resto, gli esperti del settore mettono in guardia contro valutazioni a breve scadenza, il cui risultato può essere positivo, ma non garantito nel tempo. In ogni caso, la Svizzera è un piccolo attore sulla scena dell’aiuto mondiale allo sviluppo, per cui anche i suoi interventi sono relativamente modesti. Ma sulla misura dell’efficacia degli interventi possono nascere alcuni dubbi. Toni Stadler, esperto del settore in cui è stato attivo per 25 anni, dice di dubitare che i progetti bilaterali della DSC e delle ONG (organizzazioni non governative) abbiano realizzato progressi, o crede che siano stati molto meno efficaci di quanto si creda.
Secondo Stadler i progetti migliori sono quelli che hanno un ruolo di interfaccia tra l’aiuto umanitario e la cooperazione allo sviluppo. Del resto sono ancora poche le analisi indipendenti che valutino l’utilità a lunga scadenza di progetti specifici, mentre non si citano per nulla gli insuccessi. Comunque l’aiuto svizzero, nel frattempo, ha migliorato la fiducia di una gran parte dei paesi in via di sviluppo. In ogni paese in cui la Svizzera si è impegnata, se ne trovano le tracce. Di fronte a necessità enormi e a condizioni talvolta difficili, resta sempre da vedere se i mezzi a disposizione sono stati sufficienti.